Negli ultimi giorni è tornata a infiammarsi una vecchia disputa tra Thailandia e Cambogia per il controllo del tempio di Preah Vihear, simbolo religioso e nazionale che sorge su una zona di confine da sempre controversa. Se nel 1962 la Corte Internazionale di Giustizia assegnò il tempio alla Cambogia, resta irrisolta la questione delle terre circostanti, riaccesa nel 2008 dopo l’inserimento del sito tra i patrimoni dell’UNESCO.
Ma oggi, la contesa va ben oltre i confini dei due Paesi. Ogni frizione nel Sud-est asiatico tocca gli interessi strategici di Pechino, che mira a garantire “stabilità” per proteggere i suoi progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative. La Cina gioca un ruolo di garante silenzioso, mantenendo stretti legami sia con la Cambogia che con la Thailandia.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, cercano di recuperare influenza su Bangkok, mentre le relazioni con Phnom Penh si sono raffreddate dopo l’accesso cinese alla base navale di Ream. L’ASEAN, come spesso accade, resta in una posizione ambigua: proclama neutralità ma si mostra inefficace.
Così, dietro la facciata di un antico tempio, si scontrano strategie globali: la “diplomazia quieta” cinese e il “contenimento attivo” statunitense. Il rischio? Che la militarizzazione aumenti e che, ancora una volta, a pagare siano le popolazioni locali.
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