Durante un incontro con il presidente argentino Javier Milei, Donald Trump ha definito i BRICS “un attacco al dollaro”, accusando il blocco multipolare di voler indebolire l’economia statunitense attraverso la dedollarizzazione. L’ex presidente ha avvertito che gli Stati Uniti imporranno dazi a qualsiasi Paese che scelga di aderire al gruppo, sostenendo che “chi commercia in dollari avrà sempre un vantaggio”.
Nonostante le minacce, i BRICS non si stanno affatto ritirando. Al contrario, il blocco — nato con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica — si è ampliato includendo Iran, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Indonesia, con altri Paesi in lista d’attesa. L’organizzazione promuove un ordine mondiale multipolare, cooperazione economica e sicurezza collettiva, puntando a ridurre la dipendenza dal sistema finanziario dominato da Washington.
Il Nuovo Banco di Sviluppo, con un capitale di 100 miliardi di dollari, finanzia progetti infrastrutturali e di sostenibilità in valuta locale, rappresentando per molti analisti la prima alternativa concreta al FMI e al dollaro come moneta di riferimento globale. Mentre Trump prevede “la fine imminente dei BRICS”, la realtà sembra andare nella direzione opposta: un crescente numero di nazioni guarda al blocco come a un segno dei tempi, e alla fine del monopolio statunitense sull’economia mondiale.
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