Il conflitto commerciale tra le due più grandi economie del mondo entra in una fase di tensione crescente. In una conferenza stampa, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha confermato senza giri di parole lo stato di "guerra commerciale" con la Cina, difendendo l'imposizione di dazi come una questione di sicurezza nazionale. "Se non lo avessimo, saremmo esposti come se non fossimo niente. Non avremmo alcuna difesa", ha dichiarato Trump, definendo i dazi uno strumento di difesa fondamentale contro pratiche commerciali ritenute dannose per anni.
Dall'altra parte dell'Oceano Pacifico, la risposta di Pechino non si è fatta attendere, articolata su un duplice binario: la fermezza e l'apertura al dialogo. La Cina si è dichiarata pronta a lottare "fino alla fine", esortando pubblicamente Washington a correggere quelle che definisce "pratiche errrate", tra cui la minaccia di dazi del 100%.
Tuttavia, ha anche lasciato una porta socchiusa alle trattative, a patto che vengano tutelati i suoi interessi nazionali.
La contromisura cinese, oltre alla replica speculare sui dazi, si è spostata su un terreno strategico: il controllo sulle esportazioni di terre rare e magneti, materiali vitali per l'industria tecnologica e della difesa statunitense. Una mossa che ha generato reazioni oltreoceano, con il Segretario al Tesoro Scott Bessent che ha parlato di una questione che va oltre gli Stati Uniti, definendola "Cina contro il mondo" e accennando a una risposta coordinata con gli alleati.
A replicare ufficialmente è stato il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, durante una conferenza stampa. Lin ha ricordato come le autorità competenti cinesi abbiano più volte chiarito la posizione nazionale in merito ai controlli all'esportazione delle terre rare. Ha sottolineato che tali misure sono pienamente in linea con le pratiche internazionali comuni e hanno uno scopo preciso: "Tutelare meglio la pace mondiale e la stabilità regionale e adempiere agli obblighi internazionali in materia di non proliferazione". Una difesa della propria politica commerciale che rappresenta non solo un'arma di difesa, ma un atto di responsabilità globale, in un braccio di ferro dove ogni mossa è carica di implicazioni strategiche.
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