Un continente in decadenza

di Federico Giusti

L’Italia e l’Europa sono davanti a un bivio: o rilanciano la loro economia investendo nei processi innovativi tecnologici oppure si troveranno surclassati dalle economie emergenti il cui tasso di crescita, ormai da anni, è decisamente maggiore.

Il vecchio continente corre poco o la sua andatura risulta a più velocità, alcuni paesi stanno affrontando seriamente la riconversione dell’economia a fine di guerra, altri sono invece in seria difficoltà, indietro nei processi di ammodernamento tecnologico , impossibilitati, se non ricorrendo a feroci tagli del welfare, ad accrescere le spese militari.

Ma siamo certi che la Ue oggi abbia una visione strategica di lungo periodo o pensi di affrontare le prossime sfide vivacchiando come fa da tempo?

Per Confindustria Italiana dobbiamo guardarci dalla complessa e articolata strategia russa verso Occidente, se pensiamo all’Italia i risultati fino ad oggi ottenuti dal Piano Mattei sono risibili, abbiamo perso ogni influenza nel nord Africa sostituiti da Russia e Turchia, altre nazioni sono decisamente più avanti di noi nel concludere accordi per lo sfruttamento dei metalli rari, i vantaggi commerciali auspicati non sono mai arrivati perché in fondo la politica estera della Ue resta in subordine agli Usa e alla Nato.

E stiamo parlando di strategie non certo pacifiche, quando si parla di approvigionamento delle risorse del sotto suolo dobbiamo immediatamente pensare a processi di sfruttamento delle ricchezze di altri popoli, disposti a ricorrere allo strumento militare qualora i popoli volessero decidere da soli sull’utilizzo delle loro ricchezze rinviando al mittente gli interessati consigli occidentali.

Eppure non basta giorno in cui Confindustria non esorti il Governo italiano a guardare con maggiore attenzione al continente nero adoperandosi in Europa per mettere in pratica gli intenti della famosa Bussola in campo tecnologico , industriale, commerciale e appunto militare.

L’Italia ha davanti a sé un’opportunità decisiva: trasformare le sfide di oggi in un progetto strategico di lungo respiro, contribuendo alla costruzione di un’Europa finalmente capace di pensarsi come potenza. Una potenza civile, certo, ma anche geopolitica, tecnologica, industriale e culturale. Una prima risposta è venuta con il Piano Mattei, che rappresenta un segnale concreto verso l’Africa e un tentativo di ridefinire le relazioni geopolitiche su nuove basi. Ma serve uno sforzo più profondo e sistemico: un’Europa che sappia decidere, agire, difendere i propri confini e farsi promotrice di stabilità. Le due crisi più gravi degli ultimi anni – ai confini orientali e meridionali dell’Unione – ci impongono un cambio di passo. Il futuro si giocherà sulla capacità dell’Europa di dotarsi di una visione strategica unitaria, e dell’Italia di interpretare in modo innovativo e coraggioso il proprio ruolo in questo disegno. Solo così sarà possibile affrontare, con lucidità e ambizione, la complessità del mondo contemporaneo e riaffermare la centralità dell’Occidente non come eco del passato, ma come progetto del futuro

https://public.confindustria.it/repository/2025/06/30122054/rivista-sistema-italia-2025-rivista-sistema-italia_I_manciulli_2025.pdf

Utilizzare vecchie categorie come quelle di europeismo e atlantismo non aiuta a comprendere le scelte dirimenti specie se da qui a pochi anni diventeranno centrali altre aree come l’Indo pacifico e appunto il continente africano. E sanzioni e tasse sulle esportazioni avranno effetti di varia natura, ad esempio, a seconda dell’entità dei dazi, alcune economie saranno fortemente penalizzate a favore di altre. I dazi trumpiani non sono rivolti alla salvaguardia dei prodotti Usa ma mirano direttamente ad indebolire alcuni paesi e aree geografiche, sull’Europa poi pesa il ricatto delle spese militari: se non avessero accolto positivamente l’aumento al 5% del Pil da qui a pochi anni si sarebbero ritrovati, ammesso di avere scongiurato il pericolo, con le esportazioni tassate a livelli elevati e insostenibili.

Gli Usa mirano ad un obiettivo a breve termine: costringere l’Unione europea a ridurre numerose norme deregolamentando il settore del digitale. A spingere Trump contro la Ue sono le grandi multinazionali Usa del settore che mal tollerano i limiti loro imposti nel vecchio continente e qualche sanzione per avere agito in regime di monopolio. Ursula von der Leyen è preoccupata non solo dalle decisioni di Trump sui dazi alla Ue ma anche dal voto di sfiducia su richiesta dell’estrema destra. La incertezza politica domina sovrana parallelamente a quella economica. A scanso di equivoci il vecchio continente è già colpito dai dazi, come ricorda Ispi l’aumento medio dall’1,3% al 6,7%. Tra i paesi UE, l’Italia è uno dei più penalizzati, con un dazio medio salito all’8%, contro l’11% della Germania e il 6,4% della Francia.

Per intenderci un dazio al 10% significa perdere almeno lo 0,1% oltre al deprezzamento del dollaro sull’euro con le esportazioni europee meno competitive

Oltre a motivazioni ideologiche, la guerra commerciale di Washington ha un secondo obiettivo: generare entrate per ridurre il deficit federale USA. Tuttavia, anche con un aumento delle entrate da dazi da 80 a 290 miliardi di dollari l’anno, queste non basteranno a compensare l’aumento del deficit causato dai nuovi piano di spesa (One Big Beautiful Bill Act), che farà crescere il disavanzo da 1.800 a 2.100 miliardi di dollari (7% del PIL). ….

Con il “Liberation Day” proclamato ad aprile, il ciclone dazi scatenato da Donald Trump si è abbattuto sul mondo. Così a maggio il dazio medio imposto dagli Stati Uniti è quasi quadruplicato, dal 2,3% del pre-Trump al 8,8%. E se è vero che gli effetti peggiori sono stati avvertiti da Pechino, il cui dazio medio è cresciuto dall’11% al 48%, anche gli “alleati” europei non sono stati risparmiati: una salita dall’1,3% al 6,7%.

E l’Italia? Sembrerebbe logico attendersi che il dazio medio americano che grava sull’Italia sia uguale a quello di tutto il resto d’Europa, dal momento che siamo in unione doganale e i dazi sono uguali per tutti. Ma i dazi americani non sono identici in tutti i settori economici. Infatti, mentre Trump ad aprile ha portato il dazio minimo verso l’UE al 20%, per poi ridurlo al 10% (inaugurando un periodo di “tregua” che si dovrebbe concludere il 9 luglio), su singoli prodotti possono esserci dazi più alti (per esempio i dazi alle importazioni di alluminio e acciaio sono arrivati al 50%, e quegli agli autoveicoli al 25%) o più bassi (come le esenzioni al settore farmaceutico).

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trump-e-lue-dazio-o-non-dazio-213652

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