"La crisi attuale tra Stati Uniti e Venezuela è sostenuta da una costruzione di miti propagati sia dall'estrema destra che da quei settori che, paradossalmente, continuano a definirsi "di sinistra". Questo quadro rende ancora più evidente il silenzio complice del cosiddetto "progressismo democratico", dai mille colori, di fronte ai mesi di intimidazioni militari statunitensi nei Caraibi." Inizia così un suo approfondito editoriale Oleg Yasinsky su RT.
Le molteplici "sinistre" moderate, prosegue, concepite per sostituire le ideologie radicali, si erano mostrate indignate per le presunte frodi elettorali in Venezuela, "ma oggi non battono ciglio di fronte alla prospettiva di una nuova guerra contro i popoli latinoamericani, rivelando le loro priorità selettive".
È necessario secondo Oleg Yasinsky smascherare la vecchia scusa della "lotta al narcotraffico, una narrativa alla quale probabilmente non credono nemmeno i suoi stessi artefici". Anche secondo le stime delle organizzazioni internazionali occidentali, infatti la percentuale di droga che transita dal Venezuela verso gli USA e l'Europa è infinitesimale, rendendo assurdo definirla una minaccia nazionale per Washington. Il vero obiettivo, ne è sicuro l'analista, non è una scoperta recente. Il Dipartimento di Stato ha da tempo piena consapevolezza delle immense ricchezze petrolifere venezuelane e del fatto che il governo bolivariano non intende fungere da cane da guardia regionale per l'impero. La domanda cruciale è: perché la minaccia militare si intensifica proprio ora?
Per Oleg Yasinsky il contesto è globale. "Gli Stati Uniti si stanno preparando a un grande confronto con la Cina, comprendendo di non poter competere sul piano politico ed economico. Questa, tuttavia, non sarebbe una guerra solo contro la Cina, ma praticamente contro tutti, in un contesto di eventi globali che accelerano pericolosamente". E quindi: "Il controllo delle maggiori riserve petrolifere del mondo in Venezuela diventa un obiettivo geostrategico urgente per Washington. L'analisi della situazione deve quindi considerare il quadro complessivo: l'attacco a Caracas è funzionale a riprendere il controllo di Caraibi e della costa pacifica sudamericana per escludere qualsiasi influenza cinese, dagli investimenti alle infrastrutture al commercio".
Un segnale politico particolarmente significativo è stato l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace a María Corina Machado. Questo atto secondo Yasinsky "smentisce la favola di un conflitto interno in Occidente tra "conservatori" e "liberali". La commissione "liberale" europea premia Machado per una fase di aggressione pianificata dai "conservatori" statunitensi."
Le speculazioni sugli scenari militari creano solo rumore e psicosi. Tuttavia, prosegue l'analista. si possono delineare con certezza alcune conseguenze di un'eventuale aggressione. "Primo, il Venezuela resisterebbe con una forza superiore alle previsioni, infliggendo agli USA pesanti perdite umane che avrebbero un costo politico interno per l'amministrazione. Secondo, in tutta l'America Latina si scatenerebbe la più forte ondata di sentimenti anti-statunitensi degli ultimi decenni, andando oltre attacchi e sabotaggi per tradursi in una pericolosa (per l'aggressore) unità continentale e in una rinnovata coscienza anti-imperialista di massa. Terzo, i paesi vicini, a prescindere dal loro governo, comprenderebbero di essere il "prossimo piatto" nel menu del Dipartimento di Stato. Non si tratterebbe più di insediare burattini, ma di una guerra per distruggere ogni sovranità nazionale dalle Americhe del Sud. Quarto, ancor più che il petrolio, l'obiettivo ultimo sarebbe impartire una lezione di terrore a tutto il Sud del mondo, dimostrando che nessun paese da solo può sfidare l'egemonia imperiale. L'orologio della storia segna gli ultimi secondi per trarre le necessarie conclusioni."
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