di Vincenzo Costa*
Io non so se qualcosa muore dal punto di vista epocale. Non lo so davvero. So che qualcosa in tutti questi anni è morto dentro di me. Per esempio il 25 aprile, il 1 maggio. Coloro che in montagna combatterono affinché potessi godere della libertà di cui godo restano saldi dentro l'anima, il ricordo di loro e dei lavoratori che combatterono per la giustizia sociale restano i miei punti di riferimento. A loro devo tutto.
Ma tutti quei ricordi non aprono più alcun futuro, non indicano più una strada da percorrere.
Ne indicano più con chi stare, chi ti sono compagni, chi sono, oggi i nemici della libertà e della giustizia sociale.
Il futuro per cui combatterono quegli uomini non è quello cui aspirano gli antifascisti di oggi.
Con coloro che si considerano antifascisti oggi mi sento estraneo.
Prima che un fatto politico e' un fatto antropologico. Niente delle loro vite mi attrae, piuttosto il loro modo di esistere mi da un senso di vuoto, di tristezza.
Guardarli significa diventare una statua di sale.
Mi spiace che si siano appropriati dell'antifascismo, che parlino di resistenza. Sono cose che non appartengono a loro.
È' stato un atto violento, perché secondo i loro criteri la maggior parte dei partigiani, che i fascisti li combatterono davvero e con le armi, sarebbero fascisti.
Qualcosa è andato storto.
La cosa più grave è aver permesso a questa gente di appropriarsi della parola resistenza, antifascismo.
Hanno sì una magia, ma strana: trasformano l'oro in piombo. Nelle loro mani tutto ciò che è prezioso diventa vile.
Non è il 25 aprile che muore nella coscienza delle persone. E' ciò che la retorica ha fatto del 25 aprile ad averlo esaurito, logorato, privato di senso.
*Post Facebook del 25/04/2025
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