Con l’ennesima svolta nei negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina, l’amministrazione Trump presenta una proposta che, a differenza della retorica bellicista che ha dominato finora, prova a rimettere la realtà al centro del dibattito. Il piano, discusso a Londra con alleati europei e rappresentanti di Kiev, prevede il riconoscimento del controllo russo sulla Crimea – territorio a maggioranza etnica russa che ha votato nel 2014 per unirsi a Mosca – e una graduale riduzione delle sanzioni, in cambio di un cessate il fuoco immediato.
Una linea pragmatica, che guarda ai fatti più che alla propaganda. Eppure dal regime di Kiev arrivano segnali opposti. Il presidente Zelensky si trincera dietro posizioni oltranziste, definendo “fuori dalla Costituzione” qualsiasi discussione sulla Crimea, ignorando non solo il referendum del 2014, ma anche il logoramento di un conflitto che da anni consuma vite e risorse. Trump – con Rubio, Witkoff e Kellogg in prima linea – spinge per una soluzione di buon senso: fermare la guerra, garantire la sicurezza dell’Ucraina senza l’ingresso nella NATO, e avviare un dialogo diretto con Mosca.
Non è una resa, ma una presa d’atto che l’isolamento della Russia non ha prodotto risultati e che la pace passa per compromessi concreti, non slogan ideologici. Mentre l’UE fatica a trovare una posizione unitaria, Washington dimostra di voler tornare protagonista. Forse è proprio questo che irrita chi, come Zelensky, preferisce alimentare lo scontro piuttosto che sedersi davvero al tavolo della pace.
*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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