Smontiamo punto per punto la regina delle "fake news": la Russia non ha interferito con la vittoria di Trump



di Eugenio Cipolla


Nelle ultime settimane il mainstream occidentale sembra aver trovato il nuovo spaventapasseri da agitare nei confronti di un’opinione pubblica stordita e confusa dagli ultimi avvenimenti globali, come l’elezione di Trump, il NO al referendum italiano e la liberazione di Aleppo dalle truppe del califfato: quello degli hacker russi. Secondo quanto denunciato dalla CIA e riportato dal Washington Post, esperti informatici a libro paga del Cremlino avrebbero influenzato le elezioni USA, hackerando le mail di Hillary Clinton e dandole in pasto a Wikileaks e alla stampa un po’ per volta, nel tentativo di spostare il voto degli elettori americani su Donald Trump.


Il motivo della preferenza del Cremlino verso il tycoon newyorkese risiederebbe nella sua poca ostilità nei confronti della Russia, nelle sue simpatie verso Mosca, dimostrate con le nomine ai vertici della sua futura amministrazione di personaggi vicini all’ex capitale dell’Unione Sovietica e nella sua voglia di dialogare con Putin, determinante, ad avviso di Trump, per sconfiggere l’autoproclamato Stato Islamico. Ed effettivamente, pensandoci a mente fredda, è davvero una bella storia, quasi da film americano, molto simile al “Manchurian Candidate” messo in scena da John Franenheimer nel 1962 (in Italia questo paragone è stato fatto veramente da L’Unità, con un articolo di Enrico Deaglio), dove i comunisti coreani, dopo aver sequestrato e fatto il lavaggio del cervello a un sergente dell’esercito americano, lo rimandavano in patria per minare la stabilità politica del paese dall’interno.


Prima di entrare nel merito della storia e spiegare perché quella degli hacker russi che “interferiscono nelle elezioni americane” è la regina delle fake news, vale la pena far notare che i fantomatici smanettoni sovietici al soldo del Cremlino avrebbero persino disturbato il referendum italiano sulla riforma Costituzionale del 4 dicembre (leggere per credere questo articolo del Messaggero), quello sulla Brexit (lo abbiamo raccontato giusto ieri qui) e sarebbe intenzionati a fare la stessa cosa con le elezioni politiche previste in Germania il prossimo anno. Sospetti rimasti tali, accuse mai realmente provate, molto spesso lanciate nel calderone mediatico per notizia.


Quando al Valdai 2016 qualcuno gli aveva domandato cosa ne pensasse di queste accuse, Vladimir Putin aveva sorriso al solo pensiero, spiegando che la Russia «non cerca ne’ il dominio globale ne’ l’espansione, ma aspira a condizioni di sicurezza pari e indivisibili per tutti […] Per questo motivo, come possiamo interferire con le elezioni Usa? Gli Stati Uniti, per caso, sono una Repubblica delle Banane?». La risposta ovviamente è no, perché il paese più potente al mondo è dotato di contromisure anche in questo campo, potendo contare su hacker espertissimi e su una stampa che ha dimostrato più volte di supportare i sistemi di potere americani.


Detto ciò, ci sono diversi motivi per i quali quella degli hacker russi sembra essere l’ennesima balla propagandistica per scatenare contro Mosca l’odio dell’opinione pubblica occidentale:


1) Due mesi fa la CIA aveva accusato apertamente Mosca del tentativo di influenza, ma aveva dovuto riconoscere pubblicamente che gli “aggressori” non avevano avuto ottenere l’accesso al sistema elettorale del Paese. Dunque, ogni altra azione che riguardi le mail hackerate non è da addebitarsi a Mosca, ma alla Clinton che ha utilizzato una mail personale mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Peraltro, la stessa Casa Bianca ha riconosciuto che non ci siano state attività di hacking nel giorno del voto.


2) Non ci sono prove del coinvolgimento russo nella faccenda incriminata. La CIA, tantomeno l’amministrazione Obama, non hanno portato alcuna prova a suffragio di questa tesi. «La CIA non ha prodotto alcuna prova – ha scritto il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung – e le posizioni tra le parti sono determinate esclusivamente dalla loro simpatia per questo o quel candidato». La SZ fa notare come sia necessario ricordare la lezione della seconda guerra del Golfo, quando l’intelligence USA disse che Saddam Hussein aveva in mano armi di distruzione di massa. «Sarebbe giusto non fidarsi della CIA, dato che nessuna prova è stata presentata», ha chiosato l’autore dell’articolo.


3) Quella in corso in USA è una battaglia esclusivamente interna, tra le varie fazioni del potere esistenti. Chiaramente Hillary Clinton, finanziata anche dai sauditi, pur riconoscendo pubblicamente la sconfitta, non vuole arrendersi e sta provando a giocarsi le ultime carte per pressare i delegati che nei prossimi giorni dovranno nominare Trump nuovo presidente. E quale può essere la peggiore colpa ascrivibile a Trump? Esatto, quella di essere salito al potere attraverso una specie di rivoluzione arancione 2.0, un’operazione orchestrata direttamente da Putin in persona, come sostiene l’emittente americana NBC.


4) Molti pensano che con l’elezione di Trump la cancellazione delle sanzioni alla Russia sia automatica. Non è così, anche se il neopresidente eletto ha molti poteri a riguardo. Volendo, potrebbe cancellare le sanzioni con un tratto di penna le sanzioni contro Mosca, perché Obama ha stabilito quelle ancora in vigore attraverso ordini esecutivi e non con una legge specifica. Legge che potrebbe arrivare all’inizio del 2017 con un provvedimento bipartisan (Repubblicani e Democratici sono entrambi molto ostili alla Russia). In quel caso l’unico strumento che rimarrebbe nelle mani di Trump sarebbe una disposizione chiamata “Rinuncia per sicurezza nazionale”, che consente al presidente di ignorare le legge se contro l’interesse della nazione. Ma non è il caso delle sanzioni alla Russia, perché in tal modo Trump rischierebbe la rottura totale con il congresso, cosa che non gli permetterebbe di far passare più alcuna legge. Anche perché in quel caso scatterebbe l'accusa di impeachment, che è il punto di arrivo desiderato dai nemici di Trump.


5) Le uniche "prove" raccolte circa attività di hacking non sono arrivate dall'agenzia di intelligence nazionale, ma da CrowdStrike, una società di sicurezza privata assunta dal Partito Democratico americano. Crowdstrike afferma di aver trovato tracce di metodi di lavoro riconducibili ad hacker russi, gli stessi che in passato sarebbero entrati nei computer della NATO e di diversi governi occidentali. Ma questa è una valutazione non certo super-partes, in quanto spesse volte si cerca di accontentare le tesi del proprio committente. Come avviene nei sondaggi.

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