La sbalorditiva bufala dei documenti venezuelani ai terroristi in Siria



di Francesco Santoianni

Nessun giornale main stream (nemmeno Repubblica, il che è tutto dire) aveva avuto il coraggio di diffondere questa bufala. Lo fa “La Stampa” con questo sbalorditivo articolo attestato dalle dichiarazioni di tale Misael Lopez Sotol (ex impiegato dell’ambasciata venezuelana a Bagdad) che, già nel novembre 2015, inutilmente, aveva tentato su YouTube di dare lustro a questa panzana.

Ma andiamo per ordine, Secondo il buon Lopez Sotol l’ambasciata venezuelana in Iraq “quotidianamente” vende “a migliaia di cittadini provenienti da Siria, Palestina, Irak e Pakistan, tra cui si nascondono molti terroristi, in particolare appartenenti al partito armato sciita di Hezbollah”, passaporti, visti di soggiorno, certificati di nascita, ad un costo oscillante tra i 6 e 15.000 dollari.

Ma cosa se ne farebbero i tanti compratori (che, immaginiamo, non parlano una parola di spagnolo) di questi documenti? Lopez Sotol non lo dice ma, in compenso di, almeno, uno tra questi rivela il nome:

«Nella mia posizione, sono riuscito a dimostrare che almeno in un caso, sono stati venduti documenti venezuelani a un terrorista iracheno (…) è un militante del Partito di Dio, noto come El Timimy che le polizie di mezzo mondo hanno a più riprese arrestato per narcotraffico”.


Certo, ci sarebbe da domandarsi perché mai un terrorista, arrestato per narcotraffico a più riprese dalle polizie di mezzo mondo, sia ancora in giro, ma questo è niente in confronto all’altra rivelazione presa per oro colato da “La Stampa”:

Il diplomatico – scrive La Stampa - è entrato in contatto con questo personaggio quando una ragazza venezuelana ha scritto all’email pubblica dell’ambasciata di Baghdad, dicendo di essere tenuta prigioniera a Bassora insieme alla figlia, proprio da El Timimy” Da qui la davvero rocambolesca missione di una delegazione (l’ambasciatore venezuelano in persona e Lopez Sotol ) che, evidentemente, considerava credibile una mail inviata (all’indirizzo pubblico dell’ambasciata) da una persona che dichiarava essere prigioniera di un terrorista: “I due trovarono la ragazza e la bambina. Dopo una lunga trattativa, ne ottennero la liberazione, ma furono bloccati sulla strada per l’aeroporto. «L’ambasciatore ricevette una telefonata di El Timimy e mi lasciò lì con le nostre connazionali», racconta Lopez Soto. A rischio della propria vita, l’attachè commerciale rimase bloccato a Bassora per altre due settimane ma, alla fine, riuscì a salvare la donna e la figlia.”

Un riscatto? Ma Lopez Sotol non aveva parlato di una vendita? E di quali documenti? Passaporti? Visti di soggiorno? Certificati di nascita? Ma perché e da chi la delegazione e gli ostaggi fu bloccata sulla strada per l’aeroporto? Cosa disse El Timimy all’ambasciatore per convincerlo a lasciare per strada Lopez Sotol e le due donne? E come faceva Lopez Soto a sapere che El Timimy era un militante del Partito di Dio? E perché dovette restare (“a rischio della propria vita) con le donne per due settimane a Bassora?

Si direbbe la trama di un thriller di quart’ordine. Ma temiamo sarà il prossimo, strampalato, articolo de “La Stampa”. Speriamo non doverci ritornare sopra.

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