Facebook e le elezioni europee. Una "War-Room" contro i troll russi


di Francesco Santoianni


Addirittura una War-Room quella aperta da Facebook a Dublino “contro la disinformazione” in vista delle elezioni europee. “Per evitare – come ci racconta l’ANSA – le interferenze di post di troll russi, come accaduto durante le Presidenziali Usa del 2016.” Che poi di queste “interferenze” non si sia trovata traccia, (vedi anche qui) si direbbe non interessare, la principale agenzia giornalistica italiana. Ma come funziona questa War Room? Secondo La Stampa (da sempre, in prima linea sul fronte delle le fake news) il destino dei post su Facebook verrà deciso “oltre che da 40 team, da 21 organizzazioni di fact checking che operano nell’Unione Europea”; organizzazioni, temiamo, supervisionate dal “Gruppo alto livello per la lotta alle fake news dell’Unione Europea”, tanto per capirci, da Gianni Riotta e Federico Fubini.

In attesa di sapere cosa combinerà questa Armata Brancaleone, due parole su Mark Zuckerberg (fondatore e CEO di Facebook) che, dopo l’attacco subito da Soros, nonostante la War Room di Dublino e quella di Singapore, è ancora oggi messo alla graticola dai “poteri forti” per non aver ripulito Facebook (2,2 miliardi di utenti attivi nel mondo, 31 milioni in Italia) da ogni voce dissidente.



In realtà, Zuckerberg, già qualche mese fa, era andato inutilmente a supplicare ai governi occidentali una LEGISLAZIONE che punisse severamente gli autori e diffusori di “fake news” sgravando, così, la sua azienda da costosissimi sistemi di “controllo” e dai risarcimenti pretesi da utenti rimessi su Facebook da sentenze della magistratura. In più c’è un’altra faccenda che sconsiglierebbe a Facebook di buttare fuori milioni di utenti “colpevoli” di pubblicare contenuti scomodi per i “poteri forti”: le cosiddette “fake news”, scatenando una tempesta di click, sono una manna per gli inserzionisti pubblicitari e, quindi, per le finanze di Mark Zuckerberg, oggi in crisi. Se a questo si aggiunge che le cosiddette “fake news” interessano prevalentemente un pubblico giovanile (che oggi si sta allontanando da Facebook) si capirà perché una ferrea censura su questa piattaforma non sembrerebbe all’ordine del giorno.


Strano destino per una azienda nata dal cuore dell’Impero: essere costretta a veicolare contenuti che erodono il consenso all’establishment. Ma, forse, non è così: forse, Facebook serve solo a confinare in uno spazio virtuale un dissenso che potrebbe avere ben altri sbocchi. Ma queste chiacchiere para-sociologiche, chissà quante altre volte le avete già sentite. Chiudiamola qui.

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