L'Ucraina attacca ma dal Donbass rispondono: «Vinceremo!»

05 Gennaio 2021 16:15 Fabrizio Poggi

Nonostante il cessate il fuoco – l'ennesimo – proclamato il 27 luglio scorso, il Donbass è tuttora, quotidianamente, sotto attacco ucraino. Mezzi pesanti sempre più vicini alla cosiddetta “linea grigia”; trasporti truppe e autoblindo nell'area di Scast'e; tre giorni fa, bersagliati con proiettili di vario calibro, esplosi da mortai, lanciagranate e autoblindo, i villaggi di Staromikhajlovka e Jakovlevka, alla periferia di Donetsk, il villaggio minerario Gagarin, nell'area di Gorlovka, e poi Sakhanka e Leninskoe, nel distretto di Novoazovsk. Il giorno precedente, colpite zone in prossimità di Gorlovka, Mineral'noe, Lozovoe, Aleksandrovka, Ševcenko; alla vigilia del capodanno, le forze ucraine avevano esploso anche bombe incendiarie contro alcune aree della DNR. Nel villaggio di Širokino, nella parte meridionale della DNR occupata dalle forze di Kiev, genieri ucraini hanno piazzato mine anti-carro nelle immediate vicinanze di abitazioni civili.

Kiev attende ora la fornitura da parte della Turchia di droni “Bajraktar”, che hanno dato “buona prova” in Siria e Karabakh: dopo di che, gli osservatori si attendono un brusco acutizzarsi degli attacchi ucraini al Donbass e possibili attacchi anche alla Crimea. Ankara non fa d'altronde mistero del proprio sostegno a Kiev che, se in passato è stato più “coperto” - le incursioni (fallite) in Crimea da parte del medžlis dei tatari, ad esempio, con l'appoggio dei Lupi grigi turchi – oggi, come ha dimostrato l'esempio della guerra nel Nagorno Karabakh, è sempre più diretto ed è indirizzato a conquistare più ampie posizioni su entrambe le sponde del mar Caspio.

Queste, in estrema sintesi, le ultimissime informazioni dal fronte. All'interno, il 1 gennaio, nel 112° anniversario della nascita del collaborazionista nazista Stepan Bandera, fondatore dell'Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) e tra i capi dell'Esercito insurrezionale ucraino (UPA), che durante la guerra perpetrò stragi di civili polacchi, ebrei, comunisti ucraini, soldati sovietici, per le strade di varie città ucraine si sono svolte fiaccolate all'insegna de “Il nazionalismo è la nostra religione! Stepan Bandera è il nostro profeta!”. Nel nome di quella religione, un militare ucraino ha ucciso un commilitone perché questi stava parlando in russo: alla faccia dei demo-liberali nostrani che urlano al pericolo fascista e nazista per ogni dove, salvo scientemente ignorarlo proprio dove ce ne sono le manifestazioni più aggressive e sfacciate.

E, come corollario del neo-nazismo e della eroicizzazione dei complici del nazismo, ecco che, nell'esercito di Kiev, copiando i beceri stornelli intonati dai marines yankee in addestramento, i loro colleghi ucraini marciano (impossibile riprodurne la rima; “moskali” è termine dispregiativo per indicare i russi) al ritmo di “I moskal non vogliono vivere in pace e perciò noi li colpirem. Non dobbiam far prigionieri, ma ucciderli sul posto... Riprenderemo la Crimea e poi anche il Kuban e scacceremo la merda moskal” e così via.

In parallelo ai militari, secondo quanto riportato da PolitNavigator, lo showman Anton Mukharskij ha dichiarato, in diretta su Canale 5, che i metodi “democratici e civili” di ucrainizzazione totale sono inefficaci ed è dunque necessario prendere in considerazione i metodi adottati dai bolscevichi (nella visione propagandistica fascista delle procedure bolsceviche) e procedere alla fucilazione di coloro che dissentono dall'attuale politica nazionalista.

Servono anche a questo i nuovi programmi che il Pentagono è in procinto di fornire a Kiev per il monitoraggio di media e social network, siti di informazione, stampa, trasmissioni e podcast; il sistema dovrebbe consentire di creare flussi di notizie personalizzati, utilizzando file da varie fonti. Al riguardo, l'agenzia Novorosinform ricorda che nel giugno scorso era circolata la notizia secondo cui Washington avrebbe fornito all'Ucraina 3,7 miliardi di dollari per “il contenimento della Russia”.

Manifestazioni e cortei, però, si sono svolti negli ultimi giorni non solo per esaltare i “fasti” del nazismo vecchio e nuovo. Ci si è mobilitati anche contro la politica governativa di Kiev; in particolare, contro l'ulteriore aumento delle tariffe dei servizi domestici: uno dei tanti tasselli che compongono la proclamata “integrazione europeista” del nazi-golpismo post-majdan. La situazione si è oltretutto ulteriormente aggravata, ora che, dal 1 gennaio, è entrato in servizio il ramo serbo - “Balkan stream” - del Turkish stream, che porta il gas russo verso Bulgaria, Ungheria e Serbia (e, in prospettiva, anche verso l'Austria) aggirando l'Ucraina, privandola così degli introiti provenienti dalle tubature che attraversano il proprio territorio.

E allora, aggravata di anno in anno la situazione sociale in patria, i lavoratori ucraini sono costretti a cercare alternative all'estero. Nonostante le restrizioni dovute alla pandemia e la relativa diminuita richiesta di manodopera, la forza-lavoro a basso costo proveniente dall'Ucraina continua infatti a esercitare una discreta attrattiva per le imprese, a partire dai canali “privilegiati” rappresentati da Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Secondo le previsioni di Varsavia, da qui al 2030 ci sarà in Polonia un deficit di almeno 4 milioni di operai, così che, già da ora, si sta mettendo mano alla semplificazione delle procedure riguardanti lo status degli stranieri in cerca di lavoro e per la concessione della residenza. Per la manodopera ucraina, più o meno qualificata, i salari polacchi sono in media almeno il doppio di quelli ucraini, così che, se i lavoratori polacchi emigrano in Germania (anche qui, si prevede una crescita della richiesta di lavoratori immigrati di almeno 400.000 unità all'anno), quelli ucraini passano in Polonia, per la soddisfazione dei capitali tedeschi, polacchi e cechi: tutti affamati di forza-lavoro a basso costo.

In questa situazione, il Donbass va avanti nella propria scelta di distacco dal nazi-golpismo di Kiev. Il Segretario del sindacato delle piccole imprese innovative della Repubblica popolare di Lugansk, Andrej Kocetov, in una “intervista-lampo” all'Agenzia informativa LuganskInformTsentr ha dichiarato di essere «fermamente convinto del futuro del Donbass».

Ecco la trascrizione dell'intervista.

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Domanda – Come valuta Lei la situazione delle Repubbliche del Donbass all'inizio del 2021?

Risposta – Indubbiamente, questo non è stato certo l'anno più semplice, non solo per la nostra Repubblica, ma anche per il mondo intero. Qui da noi, nonostante tutta la complessità della situazione economica, si sono però avuti anche tangibili momenti positivi. Per me, questi sono tutti collegati al costante corso verso l'integrazione con la Russia. Come per il passato, continua ad aumentare il numero di nostri cittadini che hanno ricevuto il passaporto russo. Ricordo anche la partecipazione di nostre squadre sportive a competizioni in territorio russo, con la bandiera della Repubblica; inoltre: scambi culturali e conferenze congiunte di nostri studiosi con colleghi russi. E, naturalmente, non è possibile non rilevare le parole pronunciate dal presidente Vladimir Putin alla conferenza stampa di fine anno, a proposito del lavoro diretto con le nostre imprese. Tutto questo, ci dice che le terribili perdite causate dalla guerra non sono state vane. E la scelta che abbiamo fatto nel 2014 è stata giusta e definitiva.

- Secondo Lei, quali sono stati i traguardi più significativi raggiunti dalle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk nell'anno trascorso e quali i problemi più gravi?

- A mio avviso, il problema più grave dell'anno passato è stata l'assenza, da parte delle autorità ucraine, del desiderio di un dialogo diretto con le nostre Repubbliche. Ma, questo stesso fatto, ci rafforza nella nostra volontà di andare avanti. Evidente, che il 2020 non ci ha portato particolari tratti positivi. E, però, non giudico del tutto negativo tale momento. Ci siamo dedicati all'ulteriore rafforzamento della LNR. Pur se non con i ritmi che vorremmo, ci stiamo comunque sollevando.

- I Suoi pronostici per l'evolversi della situazione in Donbass nel nuovo anno?

- Sono fermamente convinto del futuro del Donbass. La nostra regione è nata quale centro industriale dell'impero russo. Questa “staffetta” era stata poi ripresa nel periodo sovietico della nostra storia. Oggi, ne sono convinto, siamo sulla strada della rinascita della nostra industria. Io so che tutte le perdite non sono state vane. Noi vinceremo!





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