Un Nobel per la pace sulla scia di Sakharov e Gorbacev

12 Ottobre 2021 16:00 Fabrizio Poggi

Il Nobel per la pace 2021 è andato a due giornalisti: la filippina (oggi statunitense) Maria Ressa e il russo Dmitrij Muratov. Onestamente, non conosciamo Maria: constatiamo soltanto che scrive dagli USA, contro un Presidente filippino dalle relazioni non proprio “sicure” con Washington. Per quanto riguarda Muratov, fondatore e direttore di Novaja Gazeta, conosciamo abbastanza cosa egli scrivesse (nel 1994 sulla Cecenia di Džokhar Dudaev) e cosa scrivesse Novaja Gazeta (sulla Cecenia di Ramzan Kadirov, le Repubbliche popolari del Donbass, falsi giornalisti “assassinati” e resuscitati in Ucraina, ecc.) e come se ne facciano megafono i suoi estimatori in Russia e in Italia, La Repubblica in testa.

Tutti fanno notare come Muratov sia il “terzo russo” (ma a Mosca precisano trattarsi del “primo russo” dopo “due sovietici”) a ricevere il premio, dopo Mikhail Gorba?ëv (1990) e Andrej Sakharov (1975), quest'ultimo per la “lotta contro gli abusi del potere e ogni forma di oppressione della dignità umana».

Come sanno i lettori di questo giornale, non siamo certo estimatori del corso eltsiniano-putiniano russo; notiamo comunque come tutti loro, i Muratov, i Sakharov, i Gorbacev (tra l'altro, sponsor e azionista di “Novaja”) siano in buona compagnia, quali “paladini della pace”, per dire, con Lech Wa??sa o Barack Obama, o addirittura con la UE, insignita del Nobel nel 2012, perché “per oltre sei decenni ha contribuito all'avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa”: certo per i bombardamenti su Belgrado al carro di USA e NATO, prima che si cimentasse nel sostegno al golpe nazista in Ucraina.

La motivazione ufficiale del premio 2021 sottolinea l'impegno di Ressa e Muratov per «salvaguardare la libertà di parola, una condizione fondamentale per la democrazia e la pace». Il Presidente USA Joe Biden si è sbracciato in lodi ai due giornalisti e al Comitato del premio, per aver prestato «grande attenzione alla crescente pressione sui giornalisti, la libera stampa, la libertà di espressione in tutto il mondo». USA compresi, voleva forse dire Biden, pensando certamente a Julian Assange, o all'ex procuratore generale ucraino Viktor Sokin, rimosso nel 2016 proprio su pressione di Joe Biden, per le sue indagini sugli schemi corruttivi legati alla Burisma Holding.

A Mosca, una delle “firme” più note di Novaja Gazeta, l'ex docente del prestigioso MGIMO (Università delle Relazioni internazionali), dell'Università ortodossa russa e prima ancora dell'Accademia spirituale moscovita, Andrej Zubov, ha scritto di avvenimento «stupefacente e gioioso» e ha ricordato come Sakharov e Gorbacev avessero «più che meritato questo premio», per la loro «lotta contro il mostro comunista totalitario» e per i «valori umani universali, infinitamente superiori ai valori razziali, di classe, nazionali, statali». In particolare, Gorbacev, «figlio del sistema comunista, imbevuto del veleno della sua propaganda», riuscì tuttavia «a sconfiggere la sua menzogna satanica». E, però, il «terribile mostro dello stato totalitario, dopo aver gettato via i suoi orpelli comunisti, si è affacciato di nuovo nel mondo, e di nuovo in Russia. Dopo il 2008-2014, il maligno si è manifestato nella nostra patria in tutta la sua forza con guerre di aggressione in Georgia, Ucraina, Siria, nell'Africa subsahariana, in Libia, si è mostrato nel sostegno al folle regime di Lukašenko in Bielorussia, Maduro in Venezuela, si è rivelato con assassinii a tradimento, torture nelle segrete, falsificazione di elezioni a tutti i livelli, censura disgustosa, corruzione totale, etichettando gli oppositori come agenti stranieri, propaganda aggressiva e ingannevole dei media statali».

«Caro Muratov» ha scritto Zubov, «sono felice per te, per “Novaja”, per tutti noi, come ero felice nel 1970 per Solzenitsyn, nel 1975 per Sakharov, nel 1990 per Gorbacev». Questo scrive Zubov, tra le cui epigrafi feisbuc, campeggia quella per la “decomunistizzazione”: «Noi tutti, persone normali, dobbiamo unire le nostre forze, per seppellire con onore i morti, maledire la causa dei boia, chiamarli per nome e cessare per sempre il vergognoso strisciante revanscismo del leninismo-stalinismo. Ogni monumento a Lenin, Dzeržinskij, Stalin, ogni strada coi loro nomi, rappresentano uno schiaffo a noi e un insulto alle spoglie delle persone da essi uccise: i nostri cari, i nostri avi».

Dove avrà visto un “revanscismo del leninismo-stalinismo”, o scovato strade intitolate a Lenin, Stalin o Dzeržinskij, nella Russia eltsiniano-putiniana, lo sa solo lui, insieme ai suoi colleghi del “ParNaS” (Partito della libertà popolare), tra le cui “linee” ufficiali campeggiano “democrazia liberale, conservatorismo, anticomunismo, europeismo”, insieme ai liberali di “Jabloko”, ormai ridotti a meno di zero.

In generale, come scrive Jurij Nersesov su Svobodnaja pressa, l'attività di Muratov è vantaggiosa sia per l'occidente, che lo ha insignito del Nobel, sia per il Cremlino. In che senso? Il fatto è che, ad esempio, pochi giorni prima del premio, Muratov era intervenuto su “Novaja” in difesa di Aleksej Venediktov, direttore della radio “Ekho Moskvy” (fa il paio con Novaja: il prossimo Nobel sarà suo!), che aveva parlato di voti elettronici truccati e, tanto per cambiare, di “stalinisti al potere”. Ancora prima, Muratov aveva scritto di indefiniti generali, che potrebbero andare al potere rovesciando Putin, la qual cosa potrebbe risultare ancor più pericolosa per l'intelligentsija russa che nonla stessa presenza di Putin.

Tali esternazioni dei direttori di due delle principali testate dell'opposizione liberale, scrive Nersesov, «sono estremamente vantaggiose per il Cremlino. Il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, era senza dubbio sincero quando si è congratulato» con Muratov per il Nobel. Per 16 anni, «questi tipi di oppositori hanno avuto un rappresentante al governo, nella persona del presidente del Servizio federale anti-monopolio, Igor Artem'ev, ora assistente del primo ministro Mikhail Mišustin. I liberali leali sono il meccanismo più importante del regime al potere... Era stata la Novaja Gazeta a mettere in luce le torbide combinazioni finanziarie dell'ex Premier Mikhail Kasjanov, minando in modo significativo la sua posizione» e relegandolo così alle riunioni semi-clandestine in Lituania e Lettonia, con l'opposizione liberale de “La Russia senza Putin” o “Un'altra Russia”.

Dunque, conclude Nersesov, non sorprende che «il potere sostenga regolarmente “Novaya Gazeta”. Quando, tra il 2014 e il 2015, le sue finanze traballavano, l'amministrazione presidenziale sottoscrisse apertamente gli aiuti, così che gli sponsor ricevettero un chiaro segnale: il Cremlino non considera la cooperazione con il giornale un segno di slealtà». Tanto che, possiamo aggiungere, né Novaja Gazeta, né Ekho Moskvy sono classificati come “agenti stranieri”, che ricevono cioè sostegno da fonti estere.

Rimaniamo in attesa di un “Nobel” (?) per i comunisti fermati e arrestati.

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