di Angelo d'Orsi
Quante volte, nei dibattiti in tv o a distanza sui giornali, specie nell’ultimo biennio, mi sono sentito lanciare addosso una sorta di anatema dai miei interlocutori: “Vada in Russia, professore!” o nella forma interrogativa, altrettanto provocatoria: “perché non se ne va in Russia, visto che ama tanto Putin…?””. Sicché, ho deciso di dar retta a codesti detrattori (i quali partono da un duplice presupposto: che la Russia è il regno della barbarie, e che se tu ne apprezzi alcuni aspetti vuol dire che appartieni a quella medesima tribù di barbari); sicché sono partito per le “lontane Russie”, come si usava dire in passato. Il viaggio non è stato agevole, in quanto le scellerate sanzioni hanno reso complicato e lungo ogni possibile tragitto verso Mosca o San Pietroburgo con cambi e attese negli aeroporti dove le compagnie aeree che conservano rotte con la Russia fanno scalo: Belgrado Baku Istanbul… Questo è stato il primo dato rilevante che il cittadino europeo diretto in Russia non può non osservare, pagandone le conseguenze in termini di tempo, costi e disagi. Il secondo è il blocco del sistema Nexi, su cui si appoggiano tutte le nostre carte di credito. Il che costringe a munirsi di contanti, dollaro o euro, che poi si dovranno cambiare una volta giunti alla meta. Ma andiamo con ordine.
L’occasione del viaggio è stato un invito, giunto come il cacio sui maccheroni, da parte di RT, ossia Russia Today, la rete televisiva che ha sedi e corrispondenti in innumerevoli Paesi, e svolge da vent’anni un encomiabile lavoro di informazione, attraverso news, talks e documentari: un materiale che noi cittadini dell’Unione Europea non possiamo vedere, in quanto oggetto di sanzioni. La democraticissima Europa bolla come “propaganda” ogni fonte informativa non allineata a quanto i duci e ducetti di Bruxelles decidono. Sicché i russi possono liberamente seguire tutte le reti europee americane e di ogni nazione del mondo, ma i cittadini europei evidentemente considerati come altrettanti incapaci di intendere e di volere, devono accontentarsi dei media padronali che spacciano “verità di Stato” alla quale è impossibile sottrarsi a meno che si sia disposti a essere etichettati come “putiniani”, “filoterroristi”, “antisemiti”, la grande triade accusatoria che si aggira quotidianamente sulle nostre teste.
RT è un gruppo diretto e gestito quasi interamente da donne, va sottolineato, da Margarita Simonyan a capo della Rete, a Ekaterina Yakovleva, direttrice di RT.doc, a tutte le altre (e gli altri, gli uomini non mancano!) che animano la Rete, in un clima interno di vera amicizia. RT ha organizzato in modo impeccabile la celebrazione, al Teatro Bolshoi, un luogo mitico e direi mistico, nel quale ho messo piede con qualche timore, e con rispetto sacrale. I controlli di sicurezza agli ingressi erano stretti (ogni invitato peraltro aveva un suo badge con nome e fotografia appeso al collo), ma all’interno si percepiva una grande gioiosità, un tratto che del resto ho potuto constatare come proprio del popolo russo, quasi “meridionale” (lo dico da uomo del Sud), per la sua espansività, per la cordialità che viene riversata sullo straniero, e appunto per la sua joie de vivre. E in quel clima tra un aperitivo e l’altro, con una offerta eccezionale di cibi e bevande, Vladimir Putin è giunto tranquillamente, non circondato da body gards, e ha preso la parola, tenendo un discorso di alto profilo, nel quale ha collegato la lotta per la libertà di informazione di cui RT è un mezzo potente, alla lotta per l’emancipazione dei popoli, e quindi alla “operazione militare speciale” e ai tentativi dell’Occidente di nascondere o ribaltare la verità dei fatti. Dittatore, autocrate, “nuovo zar”? Io ho visto l’intero teatro (2500 presenti) levarsi in piedi a tributare un applauso corale al “Presidente”, come viene chiamato.
Alla fine c’è il momento delle foto, e quando tocca al sottoscritto, con la piccolissima delegazione italiana, mi viene presentato un combattente del Donbass, in uniforme. Quando sente che siamo italiani mi chiede: “Comunisti?”. E alla risposta affermativa mi stringe per la seconda volta la mano, con rinnovato vigore…
Eppure, non soltanto al Bolshoi, ma in città – sono nella capitale, ma mi sposterò poi a San Pietroburgo – la guerra non si vede né si sente. Queste due metropoli sono brulicanti di vita, di automobili, di bus azzurri (il colore dei mezzi pubblici), di famiglie, di giovinezza, e di turisti, mentre le 12 linee della metropolitana, sfornano a getto continuo, fino all’una di notte, passeggeri che pur nella fretta sembrano non voler rinunciare ad accarezzare con lo sguardo arredi e decori, statue e mosaici delle fermate della Metro, con le stazioni forse più belle del mondo.
C’è ogni tanto qualche drone, le cui conseguenze sono soprattutto a livello di interferenze sugli smartphone. Le code alle pompe di benzina di cui sentiamo parlare da mesi, mai viste. Del ferreo dispositivo di controllo poliziesco denunciato quotidianamente dai nostri “esperti”, non mi sono mai accorto, e anzi i controlli alla frontiera, nei due aeroporti principali, sono assai più rapidi e snelli di quelli in Italia per chi provenga da paesi extra UE. Le strade del centro in ambedue le città sono affollate, i negozi offrono merci d’ogni genere, e i prezzi sia pure in crescita, sono tuttavia contenuti rispetto ai nostri, anche nella ristorazione o nei trasporti. Ma sono in crescita anche i salari, e il consenso al “dittatore” Putin è ormai vicino al 90%. Quanto alle sanzioni a dispetto delle previsioni dei superesperti europei, non hanno sortito alcun effetto: anzi, le riserve auree sono aumentate del 40%, la Russia è oggi il principale produttore mondiale ed esportatore di grano, i flussi di gas vanno verso Oriente invece che Occidente, avendo noi con straordinaria lungimiranza, deciso di obbedire a Biden e poi Trump e ci stiamo svenando acquistando gas degli Usa (il GNL) che costa il quadruplo di quello russo ed è di peggiore qualità, oltre a comportare il problema (compresi i rischi) della rigassificazione una volta attraversato l’Atlantico.
Certo, mi racconta Anna, una guida turistica che mi accompagna nella visita di Mosca, gli italiani sono scomparsi date le difficoltà di arrivare, e quelle di pagare (essendo inutilizzabili le nostre carte di credito e di debito, ma i russi usano un loro circuito e non ne soffrono); e invece dei nostri connazionali il turismo ha come protagonisti indiani cinesi turchi caucasici eccetera. Non si vedono più circolare auto europee, prontamente sostituite dalla produzione cinese. Mi dicono che ormai il 50% dei veicoli sono cinesi, importati o prodotti direttamente in Russia. Oh, come sono lontani i tempi di Togliattigrad!
Mi altresì ha colpito il numero relativamente elevato di Tesla in circolazione (del resto alla festa al Bolshoi mi hanno additato fra i presenti il papà di Elon Musk!). Come mi ha colpito la presenza di tutti i grandi brand della moda europei e italiani in specie: Armani, Boggi, Luisa Spagnoli, Calzedonia, Stefano Ricci, Bottega Veneta, e via seguitando. Nel mio hotel (dove tutta la biancheria è etichettata Frette), c’è un meeting di imprenditori europei, con alcuni italiani: mi avvicino e provo a chiacchierare. Non preciso il settore, perché i miei interlocutori non vogliono essere sanzionati, ma mi spiegano che loro e pressocché tutti i colleghi imprenditori hanno messo a punto sistemi vari che consentono di sfuggire ai controlli sanzionatori, e continuare a fare affari in Russia. Uno di loro, sbotta: “Ma secondo lei io devo smettere di vendere ai russi perché lo dice la von der Leyen?! E la libertà di cui ciancia Draghi non è innanzi tutto quella di commerciare? Per sopravvivere, per far girare l’economia, e quindi far bene al nostro Paese!… Se io non vendo smetto di produrre, e licenzio i miei operai e impiegati. È questo che vogliono?!”. Si infervora e gli scappa qualche bestemmia. E mi saluta con un definitivo: “Questi sono pazzi o cretini, creda a me!”.
Alcune aziende hanno seguito un’astuta strategia che potrei definire “di distrazione” cambiando le denominazioni ma continuando a vendere i prodotti di prima. Altre hanno delocalizzato o i luoghi di produzione o di vendita. Mi colpisce il caso di Finn Flare, azienda finlandese che produce abiti che hanno un notevole smercio nella Federazione (più che in patria), e che prosegue tranquillamente nei suoi commerci, mentre il Paese d’origine, la Finlandia, chiude, anzi prova a sigillare i confini con la Russia! In questo caso l’astuzia è consistita nel mettere una signora di nazionalità russa alla presidenza dell’azienda finlandese…
Comunque Apple troneggia nelle lussuose vetrine con il suo Iphone 17, e gli fa eco Samsung: sono probabilmente in franchising ma ciò non toglie che i russi possano acquistare tranquillamente quegli apparecchi telefonici. E si palesano le prime code, davanti ai negozi in vista delle feste natalizie. Così come Burger King, che è rimasto come prima delle sanzioni, ha le file di ragazzi e ragazze: accidenti, ma sono proprio come noi questi russi! E lo stesso vale per l’ex McDonald, acquistato, o semi-requisito, dai russi, e ora si chiama Vkusno i Tochka (“Delizioso e basta!”) e Starbuck è diventato Stars Coffee. E via seguitando.
Alcuni i prodotti sono divenuti difficili da reperire, come gioielli in oro di produzione occidentale; ma appunto l’oro non manca in Russia, anzi sovrabbonda, sicché invece di importare si è verificato un incremento della produzione autoctona e mi dicono che sta entrando in campo una generazione di giovani orafi, e in generale di artigiani di vari settori, che in questa situazione di forzosa semi-autarchia si prestano con un orgoglio per nulla celato ad aiutare con la patria, se stessi e le proprie famiglie, o a formarsene; perché in Russia “di Putin” la famiglia è oggetto di una sorta di culto, mentre anche nei nati negli anni 90 o 2000, la religione è guardata con rispetto anche da parte di chi si dichiara ateo o agnostico e non praticante.
Aggiungo che i locali sono traboccanti di giovani che suonano cantano ballano e bevono, naturalmente, e cantano anche pezzi irriverenti verso il potere. Ho avuto la possibilità di incontrare qualcuno di loro – tutti parlano inglese in Russia, e molti quando sentono la nostra favella si avvicinano e manifestano la loro amicizia, con una cordialità che ti sorprende. “Non siamo vostri nemici e sappiamo che neppure voi lo siete…”, è il loro mantra. Del resto i segni dell’italianità traboccano in Russia. La stupenda San Pietroburgo è città tutta italiana, costruita da architetti italiani. E i ristoranti e i caffè con le insegne italiane, si sprecano… No, non riescono proprio a coltivare rancore verso di noi, a differenza che verso altre nazioni europee. Eppure noi italiani ai russi gliene abbiamo fatti di torti e la russofobia (di cui ho scritto più volte) non smette di colpire, a livello di ceto politico e soprattutto intellettuale, giornalisti in prima fila, se possiamo considerarli “intellettuali”...
A San Pietroburgo, l’antica splendida capitale, vado in treno: una specie di Frecciarossa, che costa un quarto, e che viaggia alla stessa velocità, in un silenzio assoluto. C’è il vagone ristorante, ma puoi ordinare il pranzo o uno spuntino o un semplice caffè, usando il tuo cellulare col quale paghi anche l’ordinazione che giunge in pochi minuti. Il viaggio lo compio in compagnia di una simpatica coppia mista italo-russa, che mi racconta le mille “nuove professioni” che si sono inventati i giovani dopo le sanzioni. Grazie a queste conoscenze riesco a intervistare qualche anziano che ricorda i tempi di Gorbacev, quelli di Elc’in, e ha memoria anche dell’Urss, non senza rimpianto. Una coppia proveniente dal Caucaso, ospite in città dei figli, racconta che non possono che essere adoratori di Putin; “prima, con Elc’in, i nostri salari venivano pagati in conserve alimentari e scatole di biscotti”. “Ora”, continuano, “sono più che dignitosi e i nostri figli possono di nuovo frequentare l’università, gratis, e trovare lavoro è facile. E Putin mica è un bolscevico!”; “forse un po’ staliniano, sì…”, aggiungono ridendo.
Le icone di Stalin del resto sono persino più presenti di quelle di Lenin, e si avverte il grande sforzo di Putin di recuperare l’intera storia russa, dagli zar ai bolscevichi, dallo stalinismo al putinismo…, per ridare alla comunità nazionale l’orgoglio di una storia che con i suoi errori e i suoi orrori, è una grande storia, che noi occidentali faremmo bene almeno a rispettare, nello sforzo di comprendere questo popolo multietnico che ha sacrificato 27 milioni di persone, nella “Grande Guerra Patriottica”: a tal proposito, raccomando una visita allo straordinario museo che, a Mosca, fornisce una documentazione ricca quanto efficace di quel conflitto, delle sofferenze, degli eroismi, di quel popolo. Ci vado con i miei nuovi giovani amici russi, e la guardia addetta alle sale, sorridendo, per incoraggiarci, dice: “Vkhodite, tovarishchi!” (Entrate, compagni!). Sarà pure un espediente commerciale, ma sorrido e entro contento.
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