Discorso integrale del Presidente della Repubblica Araba Siriana, Bashar al-Assad, dell'11 novembre 2024

Discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica araba siriana, Bashar al Assad in occasione del vertice straordinario arabo e islamico tenutosi a Riyadh per discutere le ripercussioni dell'aggressione israeliana in corso nei territori palestinesi e in Libano e gli sviluppi nella regione.

Fonte: Consiglio dei Ministri della Repubblica Araba Siriana

Traduzione italiana dal francese (in lecridespeuples.substack.com) a cura del Forum Italiano dei Comunisti

Sua Altezza Principe Mohammed bin Salman, Principe ereditario del Regno dell'Arabia Saudita, Vostre Altezze, Maestà ed Eccellenze,

Non mi soffermerò sui diritti inalienabili e storici dei palestinesi o sulla necessità imperativa di difenderli con fermezza, né sulla resistenza dei popoli libanese e palestinese e sul nostro dovere di sostenerli con urgenza e immediatezza, né sulla legittimità della loro resistenza in ciascuno dei due Paesi, che incarna l'onore, la dignità e la nobiltà, grazie alle conquiste e ai sacrifici compiuti dai suoi retti leader e dai suoi coraggiosi combattenti. Non parlerò nemmeno della brutalità nazista degli occupanti sionisti, dei loro crimini, della loro entità fasulla o della trasformazione del sostegno occidentale in una partnership diretta e aperta con i crimini di questo regime, perché questo non aggiungerà nulla a ciò che la maggioranza degli arabi, dei musulmani e di molti altri in tutto il mondo sanno già oggi.

Per quanto riguarda il nostro vertice: un anno fa ci siamo riuniti per commentare, esprimere la nostra condanna e la nostra indignazione, ma a un anno di distanza il crimine continua. Siamo qui per rievocare il passato e i suoi eventi o per influenzare il corso del futuro e il suo orizzonte? L'anno scorso abbiamo insistito sulla fine dell'aggressione e sulla protezione dei palestinesi, ma il risultato di un anno dopo sono decine di migliaia di martiri e milioni di sfollati in Palestina e in Libano. Nel 2002, il mondo arabo ha proposto un'iniziativa di pace; la risposta è stata quella di nuovi massacri contro i palestinesi.

Nel 1991, noi arabi abbiamo deciso di fare il gioco della (cosiddetta) “buona volontà” americana partecipando al processo di pace di Madrid. Tuttavia, la nostra pace è stata trasformata in una scusa per le loro guerre e per la legittimazione dei loro insediamenti, il che non rivela un errore di visione ma piuttosto l'incapacità di preparare strumenti adeguati: il nostro strumento è il linguaggio, il loro è l'omicidio. Noi parliamo, loro agiscono; noi offriamo pace, ma raccogliamo sangue.

Per preservare i risultati attuali è necessario mantenere gli stessi mezzi; tuttavia, per cambiare questi risultati - che è l'obiettivo di tutti noi - è necessario sostituire i mezzi e i meccanismi che abbiamo utilizzato più e più volte e che hanno costantemente dimostrato la loro natura obsoleta e inefficace. Se siamo d'accordo sui principi proposti, come possiamo trasformarli in azioni e risultati concreti? Per farlo, dobbiamo fissare obiettivi chiari, definire i risultati attesi, scegliere gli strumenti a nostra disposizione necessari per raggiungerli e definire l'area a cui si rivolgono queste misure per passare dalle intenzioni alle azioni, dai progetti alle realizzazioni, dalle dichiarazioni alle realtà.

Certo, i diritti del popolo palestinese sembrano essere l'obiettivo più ovvio per il quale dobbiamo lavorare, ma qual è il valore di questi diritti nel loro complesso se i palestinesi non godono nemmeno del più fondamentale di tutti, ovvero il diritto alla vita? Che valore può avere un diritto concesso in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi campo, a dei cadaveri? Sebbene sia importante rivendicare tutti i diritti legittimi, la priorità immediata deve essere quella di fermare i massacri, lo sterminio e la pulizia etnica. Per quanto riguarda i mezzi, credo che li abbiamo collettivamente: a livello popolare e ufficiale, tra i Paesi arabi e musulmani, a livello di Stati e di popoli. Ciò di cui abbiamo bisogno è la decisione di usarli se l'entità si rifiuta di rispettare quanto stabilito nella dichiarazione e concordato, e questo rifiuto è ciò che ci aspettiamo. A quel punto dovremo valutare le nostre opzioni: ci indigneremo di nuovo? Condannare? Fare appello alla comunità internazionale? O ricorreremo alla rottura dei legami (diplomatici e/o economici), che è il minimo indispensabile? Qual è il nostro piano d'azione concreto?

Altrimenti questo sterminio continuerà e noi diventeremo complici indiretti. Non abbiamo a che fare con uno Stato nel senso giuridico del termine, ma con un'entità coloniale fuorilegge; non abbiamo a che fare con un popolo nel senso civile del termine, ma con bande di coloni che sono più vicine alla barbarie che all'umanità.

Dire che il problema risiede in questo governo estremista e irrazionale o in un popolo traumatizzato dagli eventi del 7 ottobre non è corretto. Tutti lavorano con una mentalità e un'ideologia comune, malata di violenza sanguinaria, malata di un'illusione di superiorità (razziale), divisa tra un apparente odio per il nazismo e un'adorazione ben integrata di tutti i suoi dettagli.

Questi sono gli obiettivi del nostro incontro di oggi, queste sono le vere domande, e le domande dettano i mezzi; i mezzi, a loro volta, sono la chiave del successo. Questa è l'essenza del nostro incontro di oggi e spero che sia coronato dal successo e che prenderemo le decisioni giuste, per evitare di rivolgerci ai ladri con il linguaggio della legge, ai criminali con il linguaggio della morale e ai carnefici con il linguaggio dell'umanità. Che le nostre buone intenzioni non siano ancora una volta il punto di partenza e l'incoraggiamento per ulteriori morti inflitte ai popoli palestinese e libanese, che stanno pagando il prezzo di buone intenzioni e meccanismi assenti da decenni...

La pace sia con voi.

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