"Generazione Antidiplomatica" - Europa in armi: 800 miliardi per difendersi da Mosca. Ma ne vale davvero la pena?

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Articolo di Marco Vadrucci, laureato in Storia Contemporanea alla Sapienza

Il 19 marzo è uscito il Libro Bianco per la Difesa Europea, ovvero il documento che espone il nucleo del programma di riarmo europeo. L’idea di fondo presentata nell’introduzione è che l’Unione Europea “affronta una minaccia grave e crescente” e che l’unica via per mantenere la pace sia quella di avere la “prontezza” per scoraggiare “coloro che ci farebbero del male”; prendendo atto della posizione di debolezza militare dell’Europa causata da “decenni di sotto-investimento” si propone una via d’uscita: “Per sviluppare le necessarie capacità e prontezza militare per scoraggiare credibilmente un’aggressione armata e mettere in sicurezza il nostro futuro, è necessario un enorme incremento nella spesa europea nella difesa”.

La principale di queste minacce è considerata la Russia (“La Russia rimarrà una minaccia fondamentale alla sicurezza europea per il prevedibile futuro”), ed è qui che nel lettore sorge il primo interrogativo: quanto è effettivamente minacciosa la Russia? Per rispondere a questa prima domanda, sarebbe il caso di valutare tre elementi di massima: 1) la capacità della Russia di fare del male all’Unione Europea; 2) il desiderio della Russia di fare del male all’Unione Europea; 3) la disponibilità della Russia a fare del male all’Unione Europea. Allo stato attuale, la capacità della Russia di fare del male all’Unione Europea è estremamente elevata, perché la Russia ha circa 5.600 testate nucleari, mentre la Francia (ammesso e non concesso estenda il suo ombrello nucleare all’Europa) ne ha solo 300. La volontà e il desiderio della Russia di aggredire l’Europa sono ignote a chi scrive l’articolo, pertanto verranno analizzate 4 possibilità:

1) la Russia non ha né la disponibilità né il desiderio di attaccare l’Unione Europea, magari per via dello scudo nucleare offerto dalla NATO. Se è così, allora la necessità del riarmo non si pone con la stessa urgenza e con la stessa intensità;
2) la Russia, all’estremo opposto, ha sia la disponibilità che il desiderio di attaccare l’Unione Europea (chiamiamola “Opzione Hitler”, dal paragone più o meno esplicito che si fa tra le figure di Putin e Hitler): in questo caso, il momento di massimo vantaggio relativo per un attacco russo sarebbe proprio quello di inizio di un riarmo europeo, poiché in futuro l’aumento della produzione militare europea renderebbe meno vantaggiosa un’aggressione; la conseguenza sarebbe di incentivare un’aggressione da parte russa (non si sostiene che questa avverrebbe sicuramente, solo che le sue probabilità aumenterebbero). In questo scenario non si può sostenere che la deterrenza nucleare NATO scoraggerebbe la Russia, perché l’assunto di partenza è proprio quello che la Russia sia disponibile ad attaccare;
3) la Russia ha il desiderio di attaccare ma non è disponibile a farlo; in altre parole vorrebbe attaccare l’UE ma ha paura della reazione NATO. In questo caso l’unico turbamento dell’equilibrio sarebbe il disimpegno degli USA dalla NATO, ma qui sorge un problema: il progetto europeo, come dice il nome, prevede un riarmo entro il 2030, mentre il mandato di Trump finirà ai primi del 2029; in altre parole, se Trump scaricasse l’UE il progetto non servirebbe a niente, perché verremmo attaccati prima, mentre se Trump non scaricasse l’UE si ritornerebbe al punto 1, ovvero all’inutilità di effettuare il riarmo in maniera così affrettata e inefficiente;
4) l’ultimo scenario è quello nel quale la Russia, al contrario, è disponibile ad attaccare l’UE ma non desidera farlo; detta in altri termini, la Russia non avrebbe desiderio di invadere l’UE, ma sarebbe pronta ad un attacco preventivo qualora ci costituissimo in una minaccia. È fin troppo evidente quale sarebbe il risultato del progetto di riarmo in quest’ultimo scenario.

Resta da analizzare uno scenario specifico: quello nel quale un ipotetico futuro presidente USA abbandoni l’UE dopo il 2030, con una Russia pronta ad attaccare e intimorita solo dal deterrente nucleare USA fornito dalla NATO. È uno scenario effettivamente possibile, ma in una finestra di tempo di 5 anni ci sono modi migliori di aumentare il livello di difesa europea. E si viene qui agli altri problemi di questo progetto di riarmo, legati in sintesi all’estrema inefficienza e alla vaghezza del piano stesso. Prima di analizzarli, però, sarebbe forse utile una panoramica di quello che è lo stato attuale degli armamenti dell’Europa.

Il sito Global Firepower fornisce ampie e dettagliate statistiche sulla situazione militare mondiale; queste, integrate con altri dati reperibili su internet, permettono di avere un quadro dello stato della difesa europea rispetto alle principali potenze mondiali (per l’Europa per ragioni di semplicità è considerato l’aggregato dei primi 18 Paesi tranne che per il bilancio, che prende l’Europa a 27; ad ogni modo, il contributo delle nazioni minori è trascurabile):

Parametro UE USA Russia Cina

Militari attivi 3.194.000 2.127.000 3.570.000 3.170.000

Artiglieria 2.961 1.212 8.505 1.000

Veicoli blindati 427.948 391.963 131.527 144.017

Carri armati 4.000 4.640 5.570 6.800

Semoventi 2.525 1.312 8.173 6.240

Elicotteri 2.290 5.843 1.651 913

Cacciabombardieri 1.149 1.790 833 1.212

Portaerei e simili 7 20 1 7

SSBN 4 18 14 7

Testate nucleari attive 290 5.044 5.580 500

Spese Difesa 2024 326mld$ 884mld$ 117mld$ 231mld$

Come si può osservare, l’UE non è messa benissimo, ma non è nemmeno messa tanto male. Le sue carenze principali sono il personale combattente (i Paesi europei hanno una maggior quota di militari attivi non combattenti, ad esempio nei servizi, nell’amministrazione, eccetera), in carri armati (ma prima di affrettarsi a produrne sarebbe il caso di valutare le lezioni della guerra in Ucraina, dove si stanno mostrando estremamente vulnerabili a droni e artiglieria, altrimenti si rischia di costruire una flotta di mezzi salvo poi scoprire in seguito che necessiterà di un costoso ammodernamento), e nell’assenza di un arsenale nucleare degno di nota. Vi sono poi, è vero, altre carenze che non appaiono nella tabella, come la scarsità di riservisti e civili richiamabili alle armi, la scarsità di rifornimenti di qualsiasi genere (dalle razioni ai missili), l’assenza di una base industriale che produca armamenti in quantità sufficiente, l’arretratezza tecnologica di alcuni modelli di armamenti, l’assenza di esperienza sull’uso di piccoli droni e la dipendenza dagli USA e da Israele (!) per tutta la parte di intelligence, elettronica e informatica; questo, affinché non si creda che chi scrive voglia dipingere una situazione rosea e idilliaca. Ma, dal confronto, si può anche vedere che quello che manca all’Europa non sono i soldi nel bilancio della Difesa, ma i risultati, e si può vedere che la Russia non ha una superiorità talmente netta da poter considerare realistica un’invasione in forze di un Paese europeo che fosse supportato dagli altri, pertanto rimediare alle debolezze della nostra difesa non è così urgente come viene dipinto e non per forza deve comportare le spese che vengono spacciate per indispensabili. Gli unici due scenari nei quali la Russia potrebbe vincere un conflitto con l’Europa sono o quello di una guerra nucleare (ma il progetto di riarmo non risolve questo aspetto) oppure quello di un contingente europeo che attacchi la Russia, poiché lì la Russia avrebbe tutti i vantaggi del difensore e l’Europa attaccherebbe solo con una parte limitata delle proprie forze, ma tutto il fronte pro-riarmo continua a sostenere che questo non è assolutamente il piano, quindi non è necessario spendere per prepararsi a questo scenario.

Avendo considerato lo stato degli armamenti europei, si può adesso tornare ad alcune perplessità che sorgono relativamente al progetto di riarmo:
1) il piano prevede un aumento dei fondi per la difesa ma non degli obiettivi da raggiungere (esiste sì una lista delle aree in cui si vuole investire, ma non si spiega cosa concretamente si avrà a fine investimento). Ovviamente questa non è una colpa della Commissione Europea, poiché il piano prevede di permettere ai vari Stati nazionali di spendere in armamenti, e questo significa che sono i singoli Stati a decidere come spendere i soldi; resta tuttavia che la conseguenza di ciò è una situazione illogica: invece di ragionare in termini di “quanto ci costa quello che vogliamo?” il processo sembra piuttosto dire alle aziende “avete questi soldi a disposizione: cosa ci volete dare in cambio?”
2) come accennato sopra, il riarmo è affidato ai singoli Stati nazionali; benché nel progetto ci siano numerosi strumenti per favorire il coordinamento delle spese e le economie di scala (molti dei quali, tra le altre, esistenti da anni ma scarsamente utilizzati), alla fine del piano non si avrà un esercito europeo, ma ancora 27 eserciti nazionali.
3) con molta astuzia gli autori del Libro Bianco citano le spese militari russe ed europee a parità di potere d’acquisto e in percentuale del PIL, permettendo loro di tralasciare un dettaglio: in termini assoluti i Paesi UE spendono già oggi più della Russia (326mld € contro 117mld €), nonostante questa sia in guerra e abbia il più grande arsenale nucleare al mondo. Bisognerebbe valutare seriamente quali sono le inefficienze del complesso militare industriale europeo prima di versarci dentro altri 800 miliardi, altrimenti si rischia di voler riempire un secchio forato a furia di aumentare il flusso d’acqua: prima o poi ci si riuscirà, ma nel frattempo la maggior parte dell’acqua sarà andata sprecata.
4) Infine va considerato che l’offerta di armamenti è abbastanza rigida: le fabbriche di armi si espandono o si costruiscono nel corso di anni, se si decuplicano i fondi per la costruzione, ad esempio, di carri armati, non ci si potrà aspettare di vederne aumentata di 10 volte la produzione in pochi anni; la conseguenza è che o bisognerà comprare i carri armati dall’estero (con buona pace dei propositi di maggiore indipendenza strategica enunciati nel Libro Bianco), oppure si finirà col far aumentare il prezzo dei carri armati effettivamente producibili.

In definitiva, anche se chi scrive riconosce lo stato di relativa impreparazione militare dell’Europa e auspica fortemente una maggiore indipendenza strategica europea e un esercito europeo, sfuggono quali motivi di pubblico interesse abbiano spinto a intraprendere la strada indicata dal Libro Bianco, inefficiente, sotto certi aspetti inefficace e forse anche pericolosa. Se vi è davvero desiderio di aumentare la prontezza militare e l’autonomia strategica europee, la Commissione Europea e i Paesi membri potrebbero intraprendere la strada di programmi di unificazione delle forze armate e dei programmi di armamento già esistenti con decisione molto maggiore, piuttosto che continuare a sottrarre soldi allo stato sociale (tramite il sistema del debito) per un riarmo che resta, nonostante i proclami, condotto essenzialmente in ordine sparso.

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