Il nodo Israele fa scomparire l'Ucraina dai radar

di Paolo Arigotti

La notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile 2024 l’Iran ha lanciato contro Israele un attacco con centinaia di droni e missili: si calcola che siano stati utilizzati circa 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici .

Leggere in questo episodio un atto terroristico e/o un nuovo capitolo della conflittualità tra la Repubblica Islamica e lo stato ebraico sarebbe a dir poco riduttivo. Teheran, appellandosi all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite , che contempla il diritto all’autotutela in attesa delle eventuali misure assunte dal Consiglio di sicurezza, ha motivato l’azione come ritorsione rispetto all’attacco del primo aprile scorso, contro la propria sede diplomatica di Damasco, che provocò la morte di tredici persone (sei delle quali cittadini siriani), tra cui il generale Mohammad Reza Zahed, ufficiale delle Guardie Rivoluzionarie e altri sei membri dello stesso corpo.

Il raid israeliano era stato criticato in termini piuttosto blandi da diversi leader occidentali, pur ricevendo la condanna del segretario dell’ONU Antonio Guterres, per la violazione della Convenzione di Vienna del 1961 (quella che sancisce l’inviolabilità delle sedi diplomatiche ); gli stessi leader occidentali, però, si sono affrettati a chiedere la condanna iraniana per le azioni del 13 e 14 aprile.

In una recente intervista , la professoressa Hanieh Tarkian, docente di studi islamici, ha parlato di superiorità morale dell’Iran, che ha attuato una rappresaglia in conformità al diritto internazionale, prendendo di mira obiettivi militari e senza provocare vittime, oltretutto agendo in piena autonomia e senza il supporto degli alleati regionali; Hezbollah si è limitata ai consueti attacchi dal territorio del Libano.

Un dato interessante riguarda i costi delle operazioni militari, con un bilancio decisamente favorevole alla Repubblica Islamica, che avrebbe investito una cifra non superiore ai sessanta milioni di dollari, a fronte dei circa 1,3 miliardi che sarebbero stati sostenuti dallo stato ebraico e dai suoi alleati , il che potrebbe lasciar presagire una certa fragilità dello stato ebraico e soprattutto la sua dipendenza, in termini logistici ed economici, dalle nazioni alleate. E non dimentichiamo che parliamo di un’operazione durata meno di dieci ore.

L’operazione di Teheran denominata True Promise (vera promessa) non è stata “a sorpresa”. L’Iran si era offerto dal desistere da ogni ritorsione in caso di condanna ufficiale da parte delle Nazioni Unite del raid su Damasco e di un cessate il fuoco permanente nella striscia di Gaza , ma la richiesta era rimasta priva di riscontro. Ma soprattutto la Repubblica Islamica abbia preavvertito gli americani – e per il loro tramite gli israeliani – dando tutto il tempo di approntare le contromisure del caso, secondo un copione più o meno analogo a quello seguito ai tempi della ritorsione per l’assassinio del generale Qasem Soleimani .

Se da un lato la stampa occidentale dichiara trionfalmente che il 99 per cento degli attacchi sarebbero stati fermati, grazie all’intervento delle forze USA e di altri paesi alleati, tra i quali la Giordania (ma occorre tener conto del famoso effetto preavviso ), lo Stato Maggiore iraniano ha rivendicato la distruzione di due importanti siti militari israeliani, avvertendo, per il tramite della rappresentanza permanente presso l’ONU, che risposte molto più severe, fino a dieci volte più forti, arriverebbero in caso di ulteriori contro rappresaglie di Israele (o dei suoi alleati).

Lo stato ebraico non si è mostrato intimorito. Daniel Hagari, portavoce delle forze armate israeliane (IDF), ha dichiarato che: “l’Iran pensava che sarebbe stato in grado di paralizzare la base e quindi danneggiare le nostre capacità aeree, ma ha fallito. Gli aerei dell’aeronautica continuano a decollare e atterrare dalla base e a partire per missioni di attacco e difesa” . Ciò nonostante, Gianandrea Giaiani, direttore di Analisi Difesa, precisa come resti ancora “… da comprendere l’esatto numero di bersagli israeliani colpiti e la loro ubicazione e occorre riflettere, in prospettiva, su quante ondate di attacchi di queste proporzioni sia in grado di alimentare l’Iran e quante ne potrebbe reggere la difesa aerea israeliana prima di esaurire le munizioni e soprattutto i missili dei sistemi Arrow, Iron Dome e Fionda di David”.

Altra querelle ha riguardato il presunto ruolo avuto dall’Arabia Saudita. Stando ad alcune indiscrezioni, riprese dagli organi di stampa, la monarchia del Golfo avrebbe avuto parte attiva nella difesa dello stato ebraico, mettendo a disposizione il proprio spazio aereo , ma fonti vicine all’emittente Al Arabiya hanno smentito qualunque partecipazione saudita all’intercettazione dei droni e missili iraniani ; non è possibile escludere un ruolo dell’intelligence di Riyad, per quanto sia comprensibile il riserbo, di fronte a un’opinione pubblica interna nettamente schierata dalla parte dei palestinesi.

Partendo dai fatti del primo aprile, sono state fornite diverse spiegazioni per quanto accaduto nelle scorse settimane.

Occorre partire dalla considerazione che, al di là delle “altisonanti” dichiarazioni di alcuni alti dirigenti politici e militari israeliani, le cose nella striscia di Gaza non stanno andando affatto bene per Tel Aviv. Non solo Hamas è ben lungi dall’essere sconfitta, ma le notizie delle morti di decine di migliaia di civili, tra cui molte donne e bambini, stanno minando seriamente l’immagine dello stato ebraico, anche a prescindere dai procedimenti pendenti dinanzi alla Corte internazionale di giustizia : non a caso, la richiesta di un cessate il fuoco si fa sempre più insistente, anche tra i paesi vicini a Israele .

In tal senso, il raid del primo aprile, cui ha fatto seguito la rappresaglia iraniana, potrebbe essere letto come un tentativo da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu, messo alle strette, per provocare un’escalation, costringendo gli alleati a muoversi in suo soccorso, e al contempo per distrarre l’opinione pubblica dalla mattanza di Gaza. E non possiamo escludere che a pesare potrebbero essere anche i guai giudiziari che il capo del Governo dovrà con ogni probabilità affrontare una volta cessato dalla carica, eventualità che, per come stanno andando le cose, si avvicina sempre di più.

Ora, ammesso e non concesso che fossero state queste le intenzioni del leader israeliano, non si può certo dire che le cose siano andate come sperava. L’Iran ha adottato un approccio molto moderato per la rappresaglia, Pepe Escobar ha parlato di “pazienza strategica” , che potrebbe alla lunga rivelarsi molto più razionale di quanto non si pensi.

Sul fatto che la Repubblica Islamica non voglia l’escalation – “la questione può considerarsi chiusa così", ha dichiarato la rappresentanza iraniana presso le Nazioni Unite - sembra convinto anche Scott Ritter , ricordando che il paese, oramai proiettato verso il blocco eurasiatico – specie a seguito dell’ingresso nell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai (SCO) e nei BRICS – ha rotto l’isolamento nel quale l’avevano confinato le sanzioni occidentali, e ora avrebbe tutto l’interesse a rafforzare il rapporto strategico con Russia e Cina e a non accrescere le tensioni, specie nella prospettiva di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

Del resto, se tra i fini dell’Iran ci fosse stato, come è lecito supporre, il contrasto a Israele, questo è stato ottenuto non solo mettendo in luce le fragilità dello stato ebraico, ma soprattutto il fatto che i suoi stessi alleati occidentali – messi con le spalle al muro dai crimini di Gaza, consumati sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale – si dimostrano sempre meno disponibili a sostenere la strategia di un governo estremista. Una conferma la si potrebbe intravedere in una dichiarazione dei giorni scorsi di David Cameron, ministro degli Esteri britannico, il quale, pur riconoscendo “il diritto di difendersi” di Israele, ha precisato che sarebbe meglio evitare di accrescere le tensioni , specie nella prospettiva, in caso di ulteriore escalation, in cui venissero coinvolti gli alleati regionali di Teheran .

Un primo effetto della rappresaglia iraniana potrebbe leggersi nella decisione, ripresa da fonti anonime della CNN , che sarebbe stata presa in occasione del gabinetto di guerra israeliano, circa un rinvio dell’attacco contro la città di Rafah, a sud della Striscia di Gaza, dove hanno trovato rifugio moltissimi sfollati palestinesi. In quell’occasione non sono mancate le dichiarazioni bellicose verso Teheran, senza escludere ulteriori azioni di forza , che però non potrebbero non fare affidamento sul fondamentale sostegno dell’alleato numero uno.

Non solo si è parlato dell’invio a Tel Aviv di un alto ufficiale americano, per scongiurare colpi di testa dell’alleato , ma soprattutto, nei giorni scorsi c’è stato un colloquio telefonico, non proprio cordialissimo, nel corso del quale il presidente Joe Biden avrebbe detto chiaro e tondo a Netanyahu che gli Stati Uniti non gli garantirebbero nessun supporto in caso di escalation . Nonostante la presa di posizione di Biden, negli Stati Uniti circola ugualmente una certa preoccupazione per un possibile coinvolgimento in una guerra disastrosa: tra gli altri, ne ha parlato Favaz Gerges, docente presso la London School of Economics .

Nel frattempo, arriva da Washington la notizia di nuove sanzioni contro l’Iran , cui presto potrebbero associarsi gli alleati d’oltreoceano, senza che nessuna misura venga presa contro Israele, rischiando così di rafforzare, specie nel sud del mondo, la percezione di un doppio standard occidentale sempre più palese in molti, forse troppi, contesti .

E c’è un altro fatto accaduto poco prima della rappresaglia iraniana, passato quasi sotto silenzio, che potrebbe avere conseguenze molto importanti. Una nave israeliana è stata posta sotto sequestro dalla marina della Repubblica Islamica nello Stretto di Hormuz, ricordando così al mondo come l’Iran possa chiudere ai commerci mondiali uno dei suoi snodi fondamentali . Alla luce dell’esperienza maturata con gli Houthi nel mar Rosso, che ha già avuto importanti ripercussioni e provocato una spirale inflazionistica, un ulteriore blocco sarebbe intollerabile, tanto per Washington, che per Bruxelles, specie in vista degli importanti appuntamenti elettorali. Per la professoressa Tarkian l’unica ragione per la quale Teheran potrebbe decidersi a chiudere lo stretto sarebbe in sostegno alla causa palestinese.

Ci sembra interessante anche l’analisi condotta da Peter Akopov , che per la cronaca viene etichettato come “propagandista russo” da Wikipedia , il quale dopo essersi domandato se ci sarà un’azione diretta di Israele sul territorio iraniano, o piuttosto un raid sul Libano, parla di pesanti conseguenze che “quasi tutti vogliono evitare […] tranne che i falchi più sclerotizzati americani e israeliani”, aggiungendo che il presunto intento della dirigenza politica dello stato ebraico di coinvolgere Washington e alleati in un crescendo di tensioni è stato scongiurato da quello che si è rivelato un ”… attacco dimostrativo contro Israele”, e gli Stati Uniti hanno rifiutato il loro appoggio verso ogni spirale ritorsiva, sia che riguardi l’Iran, che altri contesti. Il tutto senza considerare che un eventuale attacco contro Hezbollah, in territorio libanese, opporrebbe gli israeliani a un avversario molto più forte (e ben armato) di Hamas, del quale nonostante tutto, non sono riusciti ad aver ragione , oltretutto senza poter fare affidamento su altri alleati strategici dell’area (Giordania, Turchia, Qatar, Bahrein), che hanno già risposto “picche” alla possibilità di concedere l’utilizzo delle basi sul loro territorio per un attacco contro l’Iran .

Il sostegno occidentale a Israele, almeno a parole, ha provocato la reazione del quasi dimenticato (dalla stampa) presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha ricordato che pure il suo paese, che al pari di Israele non è membro della NATO , è impegnato in una lotta contro il “terrorismo”, rivendicando le stesse premure . Il problema è che il destino della repubblica ex sovietica sta lentamente sparendo dalle prime pagine dei giornali, proprio come avvenne nel marzo 2022 con la pandemia, improvvisamente eclissata dal conflitto , e difficilmente si potrebbe parlare di una mera coincidenza. Kiev si sta rendendo conto della propria condizione di alleato di serie B, destinato a essere presto messo da parte, come confermerebbero le stesse e sempre più insistenti voci circa una prossima conclusione del conflitto, non certamente favorevole all’Ucraina .

Secondo una certa lettura, gli scopi di quella guerra potrebbero dirsi raggiunti: l’Europa è stata scissa dalla Russia per gli approvvigionamenti energetici, rimpiazzati in buona parte da quelli americani, molto più costosi e inquinanti - con l’eccezione della Francia del “bellicista” Macron - e la spesa militare del vecchio continente è salita esponenzialmente , con commesse che hanno accresciuto notevolmente i profitti dell’apparato industriale a stelle e strisce . Giunti a questo punto, l’Ucraina - il cui destino appare sempre meno prioritario nello scacchiere geopolitico – potrebbe essere lasciata sola, o magari divenire questione di pertinenza esclusiva del vecchio continente. A confermare che Ucraina e Israele sono due contesti diversi è stato lo stesso portavoce di Biden, John Kirby, il quale ha voluto però ribadire la volontà della Casa Bianca di non cercare un’escalation con l’Iran .

Il fatto è che Israele, piaccia o meno a Kiev, assume da sempre una pregnanza ben diversa e molto più strategica, non foss’altro per il legame inscindibile con gli Stati Uniti, tanto da spingere qualcuno a parlarne come del cinquantunesimo stato della federazione a stelle e strisce , condizione cui non è estranea l’influenza della potente Israel Lobby . E se perfino Foreign Affairs, rivista che fa capo all’influente Council of Foreign Relations, sostiene che la situazione in Medio Oriente potrebbe esplodere , mentre per l’Ucraina si prospetta una prossima conclusione, potremmo già trarne qualche conclusione. Dice molto lo stesso titolo di un articolo di recente pubblicazione: “I colloqui che avrebbero potuto porre fine alla guerra in Ucraina. Una storia nascosta della diplomazia che si è rivelata improvvisa, ma che contiene lezioni per i negoziati futuri”.

Peccato solo che sostenere certe cose, perlomeno in alcuni salotti televisivi nostrani, poteva costare fino a poche settimane fa l’accusa di filo-putinismo.

FONTI

www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/04/16/ucraina-zelensky-alleati-ci-difendano-come-fatto-con-israele_3b355923-1633-4db9-9263-bb504c5db8a1.html

www.analisidifesa.it/2024/04/liran-lancia-un-attacco-dimostrativo-e-simbolico-contro-israele/

www.quotedbusiness.com/thm-24-energie-risorse/paese-13-mondo/art-11623-l-europa-verso-nuove-frontiere-il-gas-usa-ha-ormai-sostituito-quello-russo

www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/04/13/francia-salgono-gli-acquisti-di-gas-da-macron-600-milioni-a-putin/7511998/#:~:text=Parigi%20%C3%A8%20il%20primo%20importatore,qualsiasi%20altro%20Paese%20dell'Ue.

www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2023/11/d4d111bc-arming-europe.pdf

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www.sicurezzainternazionale.com/medio-oriente/forze-di-difesa-israeliane-giurano-una-risposta-allattacco-delliran/

Canale YouTube Spunti di riflessione – Intervista con la professoressa Hanieh Tarkian (link: www.youtube.com/watch?v=e-_rJnIEy3c&t=3s)

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