La tracotanza di Washington ha oltrepassato ogni linea della sovranità nazionale e del diritto internazionale. Secondo una rivelazione dell’agenzia USA Associated Press, le autorità statunitensi avrebbero ideato e tentato di mettere in atto un piano sofisticato e senza precedenti: rapire il presidente venezuelano Nicolás Maduro. L’obiettivo finale era reclutare il suo pilota personale, il generale di brigata Bitner Villegas, affinché deviasse segretamente l’aereo presidenziale verso una località dove Maduro potesse essere catturato. Questa non è una semplice operazione di intelligence, ma un’aggressione diretta che segna una pericolosa escalation e getta un’ombra sinistra sulle relazioni internazionali.
La genesi di questa trama degna di un thriller spionistico risale allo scorso aprile, quando un informatore si presentò all’ambasciata USA nella Repubblica Dominicana con dettagli sugli aerei presidenziali venezuelani. Da lì, l’agente del Dipartimento di Sicurezza Interna, Edwin López, iniziò a tessere la sua rete, arrivando a far sequestrare due jet venezuelani. Fu in questo contesto che López ebbe quella che è stata descritta come una “epifania”: perché non convincere il pilota di Maduro a consegnare il presidente stesso?
Autorizzato dai suoi superiori, l’agente si incontrò con il generale Villegas. Secondo i resoconti, durante il colloquio, che López avrebbe segretamente registrato, il pilota apparve estremamente teso, al punto da tremare. Dopo aver ammesso il suo ruolo e fornito alcuni dettagli, si arrivò al cuore della proposta. López promise a Villegas di renderlo “molto ricco” e di aiutarlo a conquistare “l’affetto di milioni dei suoi compatrioti”. Luoghi come la Repubblica Dominicana, Porto Rico o la base USA di Guantánamo a Cuba furono discussi come possibili destinazioni per questa operazione di cattura. Di fronte a questa offerta di ricchezza e gloria in cambio del più alto tradimento, Villegas non avrebbe accettato, ma si sarebbe limitato a fornire il suo numero di telefono, lasciando la situazione in un’ambiguo stallo.
La gravità di questo tentativo fallito, tuttavia, rimane assoluta e innegabile. Il progetto di rapire un capo di Stato in carica non è una semplice provocazione; è un atto che viola ogni principio della Carta delle Nazioni Unite e dei patti di non interferenza, un pericoloso precedente che legittima la legge del più forte. Stabilire la prassi di catturare leader stranieri scomodi significa aprire la porta a un mondo dove la diplomazia è sostituita dalla forza bruta, con conseguenze imprevedibili per la stabilità globale. Il tentativo di corrompere la figura più fidata per la sicurezza fisica di un leader mostra una spregiudicatezza che non conosce limiti. Questa rivelazione non è solo una notizia di spionaggio, è l’inquietante racconto di come si sia seriamente pianificato di compiere un atto che sfida i fondamenti stessi della convivenza tra nazioni.
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