La diplomazia italiana torna a guardare alla Cirenaica

23 Ottobre 2025 06:00 Francesco Fustaneo



di Francesco Fustaneo

A Bengasi in questi giorni si è assistito a un viavai di auto blu con bandiere italiane che, superando i checkpoint militari, si dirigevano verso i comandi dell’Esercito Nazionale Libico a Bengasi. Sembrerebbe che l’Italia stia ricominciando a guardare con interesse alla Cirenaica e sulla sua rinata centralità, facendo di Bengasi il perno di un dialogo che non può più aspettare.

Questo mercoledì è toccato al tenente generale Saddam Haftar, vice comandante dell’ENL, che sta tessendo una fitta rete di incontri diplomatici in queste settimane, ricevere nel suo ufficio una delegazione di peso. Non una semplice visita di cortesia, ma un incontro di lavoro fitto. A sedere di fronte a lui, l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Gianluca Alberini, l’addetto militare colonnello Massimiliano Grazioso, e il console generale a Bengasi, Francesco Saverio Di Luigi.

Bengasi, sta vivendo una lenta ma tangibile rinascita. E la diplomazia ne è il termometro più sensibile. Gli incontri qui, a onor del vero da molto tempo oramai, non sono clandestini o di emergenza. Si svolgono negli uffici, attorno a un tavolo, con un ordine del giorno preciso. Si discute degli sviluppi locali e regionali, si esaminano “dossier comuni”.

Al centro della conversazione, a questo giro i temi che per l’attuale governo italiano sono rilevanti: la cooperazione nella lotta all’immigrazione illegale, la partecipazione delle aziende italiane alla ricostruzione del paese, e le modalità per rinforzare il partenariato economico. Sono i pilastri su cui da Roma finalmente qualcuno ha intuito che si possa e si debba volere ricostruire una relazione stabile e vantaggiosa con la Libia orientale.

E non si tratta solo di questo un singolo incontro. È nel pattern che si sta disegnando. Perché oggi è toccato a Saddam Haftar, ma solo lo scorso aprile, era invece stato il padre di Saddam, il generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’ENL, a ricevere ben altri ospiti: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

Questi due appuntamenti, a così alto livello e a distanza di pochi mesi, rivelano un disegno diplomatico precisa. Il governo italiano sta lavorando su un doppio binario, perfettamente coordinato. Il livello strategico-politico: gestito direttamente dai ministri a Roma, che trattano con il “leader” Khalifa Haftar per gli accordi quadro; il livello operativo-diplomatico: seguito dall’ambasciatore e dal console a Bengasi, che con Saddam Haftar e la sua struttura di comando traducono quegli accordi in cooperazione concreta sul campo.

È un’evoluzione che porta a riconoscere i centri di potere reali in Libia. Bengasi non è più solo” l’altra capitale”, ma un centro decisionale a tutti gli effetti, con cui è necessario interfacciarsi direttamente per avere risultati.

La posta in gioco: sicurezza e ricostruzione

Da un lato, la sicurezza e la ricerca della ratifica dell’ impegno di Bengasi al contrasto delle partenze irregolari. Dall’altro, la ricostruzione. Bengasi e tutta la Cirenaica sono un cantiere potenziale enorme. Le aziende italiane, da Eni all’ingegneria, hanno storicamente un legame forte con questa regione. Essere presenti oggi significa gettare le basi per i contratti di domani e, al contempo, contribuire a stabilizzare un’area chiave.

Gli incontri istituzionali che Saddam Haftar sta portando avanti quindi, non sono solo momenti diplomatici. Sono la cartina di tornasole di quella parte di Libia e delle sue rappresentanze politiche designate dagli elettori alle ultime elezioni libere, che stanno faticosamente uscendo dall’ombra della guerra e dal tentato isolamento da parte occidentale e che si stanno ritagliando un ruolo da protagonisti nel futuro del Paese e dell’intero Nord Africa.

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