Los Angeles, specchio dell'Occidente: doppia morale tra repressione e diritti

09 Giugno 2025 15:00 Fabrizio Verde

di Fabrizio Verde

La scintilla è scattata venerdì scorso con i raid dell'ICE a Paramount e Compton. Da allora, Los Angeles brucia. La città è paralizzata da giorni di violenti scontri tra manifestanti, polizia e Guardia Nazionale, trasformando strade e autostrade in campi di battaglia. Auto in fiamme, saccheggi, lanci di pietre e molotov contro le forze dell'ordine, gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere la folla: questo il tragico bilancio delle proteste scoppiate contro le detenzioni e le espulsioni di migranti.

Le immagini dell'autostrada 101 bloccata e assaltata domenica hanno fatto il giro del mondo. Il capo della polizia Jim McDonnell ha denunciato un livello di violenza "ripugnante" contro agenti "sotto attacco", con oltre 60 arresti solo in quel giorno. La risposta di Washington è stata immediata e muscolare: il Presidente Donald Trump ha ordinato il dispiegamento di 2.000 membri della Guardia Nazionale, definendo Los Angeles "invasa e occupata da stranieri illegali e criminali". Con toni infuocati sui social, ha promesso di "liberare Los Angeles dall'invasione migrante", minacciando anche arresti per chi protesta travisato ("Cosa hanno da nascondere?"), spingendosi all'ordine perentorio: "Arrestate le persone con le mascherine, ora!".

Questa mossa ha innescato una crisi istituzionale senza precedenti con la California. Il Governatore democratico Gavin Newsom ha bollato il dispiegamento federale come "illegale" e una "grave violazione della sovranità statale", avvertendo che truppe non addestrate rischiano di "aggravare seriamente la situazione". Newsom ha intimato il ritiro delle truppe, annunciato una causa contro Trump e sfidato apertamente Tom Homan, lo "zar delle deportazioni" che aveva minacciato arresti anche per funzionari statali ostili: "Arrestatemi! Mi importa questa comunità".

La crisi ha diviso l'America. L'ex Vicepresidente Kamala Harris ha condannato l'invio della Guardia Nazionale come "pericolosa escalation" dell'agenda "crudele" di Trump per "diffondere panico e divisione". Ventidue Governatori democratici hanno firmato una dichiarazione congiunta che accusa Trump di "allarmante abuso di potere". Oltre confine, il Presidente messicano Claudia Sheinbaum è sceso in campo a difesa dei suoi connazionali, affermando che almeno 35 messicani sono stati detenuti nei raid e rivendicando con forza: "I messicani che vivono negli Stati Uniti sono brave persone, oneste... non sono criminali! Sono uomini e donne buoni!".

La violenta repressione delle proteste a Los Angeles getta una luce cruda e imbarazzante sulla classica doppia morale occidentale riguardo alla gestione del dissenso. Quando episodi simili accadono in paesi indicati come nemici – si pensi alle condanne verso Venezuela, Iran, Russia o Cuba – l'Occidente tuona contro la "demonizzazione" dei manifestanti come "terroristi" o "agenti stranieri", condanna senza appello la violenza delle forze dell'ordine o la soppressione delle libertà. Eppure, a Los Angeles, assistiamo a una repressione brutale: il Presidente in carica etichetta i manifestanti (legittimamente preoccupati per deportazioni spesso indiscriminate) come "insurrezionalisti" e "invasori criminali", giustificando così una risposta militarizzata e misure eccezionali come l'arresto per il semplice uso di una mascherina. Perché queste misure repressive sono ritenute giustificate negli Stati Uniti e invece condannate come arbitrarie e dittatoriali quando paesi non allineati a Washington cercano di difendersi?

Il rapido dispiegamento della Guardia Nazionale, l'uso massiccio di gas lacrimogeni e proiettili di gomma anche contro giornalisti, e la chiusura di spazi pubblici sono misure che, se attuate altrove, scatenerebero immediatamente condanne occidentali come "repressione brutale". Qui, vengono spacciate per "ripristino dell'ordine" contro "criminali". Allo stesso modo, la ferma condanna occidentale delle violazioni di sovranità suona ipocrita quando il Governatore Newsom accusa Trump proprio di aver violato "illegalmente" la sovranità della California – un'azione che, se compiuta da un governo non allineato, scatenerebbe sanzioni e accuse di autoritarismo.

La narrazione è altrettanto selettiva: le proteste nei paesi "nemici" sono "eroiche lotte per la libertà", mentre quelle in casa propria, specie se scomode, diventano "disordini criminali". La crisi di Los Angeles smaschera così l'ipocrisia di un Occidente che ergendosi a paladino dei diritti umani condanna la repressione altrui, ma adotta senza esitazione metodi altamente repressivi. È una doppia morale stridente, un doppio binario che mina alla radice la residua credibilità dell'Occidente sulla scena globale.

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