Dall’insorgenza della pandemia si è aperto un acceso dibattito sulle ospedalizzazioni e i decessi “per Covid” o “con Covid”. Nella gestione della pandemia tale differenza è stata trattata come una mera distinzione linguistica, come non avesse alcuna importanza reale.
Tanti, anche noi, nel nostro piccolo, si sono invece posti domande su tale distinzione, anche se tali domande, del tutto ragionevoli, sono state criminalizzate e ascritte d’ufficio nel novero dell’indicibile e quindi censurabile. Così è con certa soddisfazione che abbiamo letto sul Washington Post un articolo che pone domande analoghe.
Domande lecite
Un po’ tardi, dal momento che esse andavano poste all’inizio della pandemia per evitare l’isterismo che l’ha accompagnata, sia da parte delle autorità che dei critici delle stesse, con questi ultimi più scusabili dei primi, dal momento che era proprio l’isteria delle autorità – che si è manifestata attraverso la censura, postuma e preventiva – ad alimentare vieppiù le critiche di parte dell’opinione pubblica.
E però, il fatto che un quotidiano autorevole come il Washington Post inizi a porsi e a porre domande, e soprattutto a pubblicare articoli diversi dagli usuali, scritti secondo le rigide disposizioni pandemiche, è di qualche conforto. Vuol dire che nel potere, quello vero, imperiale, si è aperta una crepa.
Leana Wen, questo il nome della cronista del Wp, non scrive nulla di sconvolgente per quanti hanno seguito il dibattito sul tema. Ha solo interpellato alcuni medici autorevoli, che, pur ribadendo la legittimità delle disposizioni pandemiche, spiegano che spesso, e troppo spesso, l’etichetta Covid è stata apposta su pazienti e defunti in maniera arbitraria.
“Per” o “con”, percentuali sorprendenti
Riportiamo: “Robin Dretler , medico presso l’Emory Decatur Hospital ed ex presidente della sezione della Georgia della Infectious Diseases Society of America, stima che nel suo ospedale il 90% dei pazienti con diagnosi Covid sia in realtà ricoverato per qualche altra malattia”.
“‘Poiché ogni paziente ricoverato viene testato per Covid, molti risultano casualmente positivi’, ha detto. Una vittima d’arma da fuoco o una persona che ha avuto un infarto, ad esempio, potrebbero risultare positivi al virus, ma l’infezione non ha alcuna relazione con il motivo per cui hanno cercato assistenza medica”.
“Dretler analizza anche il caso di pazienti con più infezioni concomitanti. ‘Le persone che hanno un numero di globuli bianchi molto basso a causa di una chemioterapia potrebbero essere ricoverate per una polmonite batterica o una cancrena del piede. Potrebbero anche avere il Covid, ma il Covid non è il motivo principale per cui sono così malati’”.
“Se questi pazienti muoiono, il Covid potrebbe essere aggiunto al loro certificato di morte insieme alle altre diagnosi [e la morte viene registrata nel novero dei morti causati dal virus ndr]. Ma il coronavirus non è stato il principale responsabile della loro morte e spesso non ha avuto alcun ruolo”.
“Quindi, dopo aver spiegato che non c’è nessuna cattiva intenzione nella sovrastima che ha caratterizzato la pandemia, commenta: ‘La sopravvalutazione involontaria del rischio può rendere gli ansiosi più ansiosi e gli scettici più scettici'”.
Delle stesso tenore le parole di un’altra dottoressa interpellata dalla Wen, Shira Doron, della quale riferiamo solo un cenno, perché più che significativo: “In alcuni giorni, ha detto, la percentuale di coloro che sono stati ricoverati in ospedale a causa di Covid è stata pari al 10% del numero totale riportato ufficialmente”.
Torneremo sul tema.