di Michele Blanco*
Il grande sociologo e filosofo tedesco Jürgen Habermas sostiene che la cattiva gestione delle varie crisi economiche degli ultimi anni in Europa, la mancata valorizzazione del Parlamento europeo come strumento di partecipazione democratica di massa e, di conseguenza, la scarsa legittimazione politica dell’Unione suscitata nei cittadini dagli Stati membri costituiscono
i limiti principali dell’Unione Europea. Più democrazia, con maggiore partecipazione democratica dei cittadini europei, con più solidarietà sono gli unici antidoti che Habermas propone per realizzare una riforma ormai necessaria che sia capace di far uscire l’Unione Europea dalla crisi istituzionale e di credibilità in cui da troppo tempo si dimena. La situazione è estremamente critica, anche perché manca ancora una forza progressista capace di guidare questa svolta.
In questo contesto siamo tutti giustamente occupati a cercare di capire come si svilupperà una guerra, quella in Ucraina, che minaccia, ogni giorno di più, di sfuggire completamente di mano, e siamo sempre a pensare l’Occidente contrapponendolo al suo altro avversario di turno, che è ora la Russia, ora il mondo islamico ora la Cina. Ma stiamo perdendo di vista quello che sta accadendo nei paesi di tradizione Occidentale fautori della democrazia liberale.
Le elezioni per il Parlamento Europeo sembra già da ora che non avranno alcuna rilevanza nella definizione della futura politica estera europea, che viene decisa altrove, senza tenere in alcun conto le vere opinioni dei cittadini europei. E neanche è importante chi vincerà e chi perderà. Ancora di più sembra che ci stiamo avviando verso una situazione di grande ingovernabilità, perché chiunque vinca, sembra che emergerà un’Europa divisa non in due, ma frammentata con frammenti che crescono su se stessi, e avremo un governo europeo sempre più delegittimato dal punto di vista della legittimità democratica, della credibilità e dell’autorevolezza politica. Per la formazione della nuova governance vi saranno differenze non facilmente mediabili se non con pasticci tra interessi nazionali differenti, che non attraversano precedenti linee di demarcazione. L’Ungheria, l’Italia, la Spagna, la Slovacchia e altri stati non hanno nessun interesse alla prosecuzione di questa guerra né a un conflitto perenne con la Russia. I paesi baltici, la Polonia, Il Regno Unito (che nemmeno fa più parte dell’Unione Europea, ma vorrebbe avere potere decisionale) oramai sembra che vogliono, inesorabilmente, uno scontro sempre più aperto con la Russia e cercano di trascinare tutte le altre nazioni europee alla tragedia della catastrofica guerra.
Altro aspetto cruciale è che nelle elezioni, o vince la destra o la sinistra, la formazione di una maggioranza nel parlamento europeo probabilmente potrà essere molto complicata tanto che molti prevedono un vero e proprio pasticcio, che sarà percepita dagli europei come tale e genererà un ulteriore inesauribile processo di perdita di credibilità delle stesse istituzioni europee, che in effetti ne hanno già ben poca.
La situazione dell’Europa è oramai attraversata da differenti modi di concepire l’identità stessa dell’Europa, i suoi valori fondanti, le divisioni attraversano e frantumano ogni unità. Così, i partiti “sovranisti” (per esempio quelli polacchi e quelli ungheresi) si spaccano sulla politica estera, pur unificandosi su certi valori, i partiti cosiddetti progressisti pure, su un versante diverso. La Francia, dietro l’arroganza di un inconsistente Macron, è, in realtà, un paese sempre più diviso con moltissimi che vorrebbero un altro presidente. Quello che sembra emergere è che sia in corso un processo di frantumazione che sta disgregando tutte le possibilità di unificazione. Basti pensare all’Europa di Visengrad e, di contro, l’Europa che vuole la guerra con la Russia, e chi come l’Italia non si capisce bene cosa vuole, o meglio sembra che vuole fornire le armi ma non vuole, per fortuna, partecipare alla guerra.
Gli stessi Stati Uniti d’America stanno diventando un paese fortemente polarizzato dove avanza una crisi istituzionale sempre più grave. Lo si è visto con il conflitto tra governatore del Texas e istituzioni federali, ma dopo la condanna di Trump, un’evidente mossa politica che anche Musk ha stigmatizzato come tale, le tensioni sono destinate ad acuirsi. Non c’entrano differenze sulla politica estera, perché Trump non modificherebbe molto la politica estera degli USA: è il tessuto connettivo economico, sociale e politico a mostrare crepe sempre più profonde. Chiunque vinca negli USA quel paese sarà un paese spaccato, come già accaduto alle ultime elezioni presidenziali. Il governo che ne uscirà non sarà il governo di tutti gli americani. Il prossimo presidente non rappresenterà più tutti gli statunitensi.
Gli USA, con dichiarazioni del ministero del tesoro, hanno chiarito che se la Cina continua a fornire alla Russia beni utili alla produzione di armi, ordineranno, come del resto stanno facendo da due anni a questa parte, all’Europa di chiudere le relazioni economiche con la Cina. Poiché la Cina non ha alcuna intenzione di interrompere le relazioni con la Russia, e sarebbe assurdo e folle se lo facesse, ciò significa che la pressione affinché le imprese europee non abbiano relazioni commerciali con la Cina aumenterà, e questo creerà una spaccatura tra USA ed Europa. Purtroppo abbiamo sentore che l’UE cederà agli ordini degli USA, ma così facendo acconsentirà a quello che è oramai il vero obiettivo di questa guerra: la totale distruzione dell’economia Europea a favore di quella Statunitense. Sino a che punto ciò potrà essere accettato da Stati come Francia e Germania, ma anche l’Italia, è da vedere, poiché per questi stati le relazioni economiche con la Cina non sono esattamente irrilevanti e danneggiarle significa mettere una pesante ipoteca sul loro futuro economico e sociale.
La Von der Leyen ha dichiarato, senza che nessuno abbia avuto la dignità di reagire con forza, che bisogna passare da de-bunking al pre-bunking. Significa purtroppo che non si dovrà più combattere quelle che vengono considerate false informazioni: si dovranno controllare la circolazione stessa delle informazioni, determinarla dall’alto, impedire che certe notizie e opinioni circolino. Nella realtà non viene messa in pericolo la democrazia ma di fatto significa che si entra in un regime apertamente totalitario, secondo questa “signora” l’UE si deve trasformare letteralmente in uno Stato totalitario. Le elites europee confidano sull’indifferenza delle opinioni pubbliche, sulla loro riluttanza a creare movimenti di contestazione. Pensano e scommettono sul fatto che nessuno reagirà. Questo è non solo possibile, ma probabile, gli ultimi sondaggi ci dicono ancora che in molti non andranno a votare. Tuttavia è un rischio. Non si può escludere che, anche sotto l’urto di crescenti paure e tensioni economiche, le opinioni pubbliche abbandonino il loro stato di letargo, questo ci auguriamo fortemente, ma tra pochi giorni sapremo che cosa sarà di noi.
Sappiamo bene le cause di questa situazione, che si radicano nel maldestro modo in cui si è voluta costruire l’Unione Europea: come un mercato neoliberista privo di identità, di memoria, di radici solidaristiche. Si è pensato, sbagliando e rovinando il progetto dell’Europa dei popoli, che i motori dell’identità dovessero essere due: il mercato e la legge che, imposta dall’altro, avrebbe dovuto creare una nuova identità.
Questo progetto è inesorabilmente, e per fortuna, fallito, questa epoca si sta finalmente chiudendo. Ora pensiamo a un futuro fatto di rispetto per tutti, di rispetto dei diritti umani fondamentali e basato sulla solidarietà.
Per fare questo alle ormai vicinissime elezioni europee bisogna che tutte le persone vadano a votare per fare in modo che questa volta le cose possano veramente cambiare.
BUON VOTO A TUTTI!
*Già pubblicato su "l'Eguaglianza.it"