QUANTO VALE UNA VITA? L’ATTENTATO A RANUCCI E LA NOSTRA DEMOCRAZIA


di Paolo Cornetti

Chi scrive non è uno strenuo difensore di Ranucci, di Report e delle sue inchieste, ma nemmeno uno dei tantissimi detrattori che sono passati dalle accuse e dal piagnisteo alla massima e “più sentita” solidarietà.

Report è una trasmissione televisiva d’inchiesta con i suoi pro e i suoi contro. Tra i suoi pro c’è sicuramente la capacità di portare tematiche molto spinose a un grande pubblico che altrimenti le ignorerebbe, le qualità investigative della sua squadra che non si discutono e anche il coraggio e la forza di mettersi contro chi è più potente. Dall’altro canto, talvolta la trasmissione ha mostrato i limiti tipici del giornalismo d’inchiesta come la necessità di semplificare e di rispettare i tempi serrati di una programmazione settimanale, con il rischio di apparire parziale o incompleta e di esporre alla gogna mediatica persone la cui effettiva responsabilità resta da accertare. E, se giornalisticamente è importante l’inchiesta, è risaputo che per il pubblico la presunzione di innocenza non esiste. Soprattutto in una società che sta male, che è decadente, il bisogno di prendersela con qualcuno e quindi di trovare capri espiatori aumenta.

Però, questo è un problema di Report fino a un certo punto, quanto del pubblico, della società stessa.

Ciò rende il giornalismo d’inchiesta meno necessario? Evidentemente no.

Finché si rimane nel terreno della critica, anche intellettuale, o pure politica, finché ci si interroga, si dibatte, e si resta all’interno di un confine delimitato dal rispetto, la vita democratica trova la sua realizzazione, anche se, come ormai è risaputo, parlare di democrazia risulta retorico, stantio, forse passato, ma senza dubbio alcuno tristemente inverosimile quando al centro c’è il nostro Paese (e non solo).

L’attentato alla vita di Ranucci - perché di questo si tratta - è uno dei sintomi più lampanti di questo problema di democrazia. Lo studioso inglese Colin Crouch definiva i nostri regimi come postdemocrazia qualche tempo fa, ma sarebbe oggi più opportuno parlare di uno stato di a-democrazia, nel senso di privazione della stessa.

I motivi sono diversi, e diversi sono i saggi che li elencano, ma anche concentrarsi sul valore della vita umana in relazione alla partecipazione politica è fondamentale per capire la realtà che ci circonda. Ormai, ci si è abituati a pensare che fare politica o fare il giornalista, non porti più ad essere ammazzati. Ci sono metodi subdoli per ottenere la stessa cosa, anzi, meglio, per squalificare completamente qualcuno, per far sì che le sue idee, pur giuste, vengano ricoperte dal fango buttato sulla sua persona, che poi ci siano basi reali o no, o che piccoli fatti vengano resi eclatanti, poco importa. Ammazzare la reputazione di una persona - che magari fa inchieste scomode o diventa un avversario politico non controllabile - tramite i grandi media è diventata l’arma più efficace per portare tale persona prima nella gogna pubblica e poi nell’oblio.

Eppure, il fatto recente ci racconta che esiste ancora quel tipo di violenza che ci sembrava quasi dimenticata. Esiste come ultima spiaggia? Esiste quando si arrivano a conoscere dettagli che non si dovevano conoscere?

Ranucci ha dichiarato che ha iniziato a ricevere minacce sempre più consistenti da quando ha iniziato a occuparsi del caso Moro. Se così fosse, se le due cose fossero veramente collegate, vorrebbe dire che o qualcuno di implicato allora è ancora in circolazione o la verità dietro a quella tragica pagina della nostra storia - quando di politica si moriva molto più spesso - può dare un discreto colpo al sistema che abbiamo costruito nei decenni. E che qualcuno cerca in tutti i modi di preservare; anche se evidentemente non regge.

Ma l’altra questione da sottolineare è il messaggio per tutti. Quello che dice che essere scomodi può ancora comportare conseguenze pure fisiche e non solo reputazionali. In una società sempre più depoliticizzata, dove si pensa sempre più individualmente e si preferisce farsi tendenzialmente i fatti propri e non “immischiarsi”, questo porta a due possibili strade: disincentivare maggiormente le persone a impegnarsi o provocare una forte e inaspettata reazione.

Per capire come individualmente si risponde bisogna anche farsi alcune domande drastiche e fondamentali: oggi la nostra vita vale la lotta per un mondo migliore? E se sì, quale?

Solo la capacità di districarsi tra questi due quesiti riuscirà a dare nuovi strumenti per combattere in maniera più efficace lo stato di a-democrazia.

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