di Fabrizio Verde
Le elezioni regionali e legislative del 25 maggio in Venezuela hanno tracciato un panorama politico inequivocabile. Il Gran Polo Patriottico Simón Bolívar (GPPSB), l'alleanza guidata dal PSUV che sostiene il presidente Nicolás Maduro, ha ottenuto una vittoria schiacciante. Con il 93% dei seggi scrutinati, il GPPSB si è aggiudicato l'82,68% dei voti per l'Assemblea Nazionale e 23 delle 24 governatorati in palio, lasciando solo lo Stato di Cojedes all'oppositore Alberto Galíndez. Un risultato che il Presidente Maduro ha celebrato come l'inizio di "una nuova tappa" per il paese, garantendo una maggioranza parlamentare "impegnata con il popolo venezuelano", come ribadito anche dalla deputata e ‘Prima Combattente’ Cilia Flores, che ha sottolineato l'impegno a lavorare per sostenere le politiche del governo bolivariano.
Tuttavia, il dato dell'astensione, fissato al 42,63%, è diventato il bersaglio privilegiato delle critiche prevedibili del mainstream internazionale, presentato come prova automatica di illegittimità a causa del boicottaggio proclamato dai settori estremisti e golpisti dell’opposizione.
Un'analisi più attenta del contesto venezuelano, però, rivela una realtà ben più complessa e smentisce queste narrazioni semplicistiche.
Comprendere quel 42,63% richiede di considerare una serie di fattori intrecciati. Un elemento determinante è la significativa diaspora venezuelana. Stime affidabili, anche provenienti dall'opposizione, indicano che oltre 4 milioni di elettori iscritti nel Registro Elettorale Permanente (REP), circa il 20% del totale, risiedono stabilmente all'estero. La loro partecipazione è storicamente bassa, specialmente in elezioni non presidenziali, rappresentando un peso strutturale sull'affluenza complessiva derivante dagli anni di crisi e pressioni esterne.
A questo scenario si aggiunge un astensionismo cronico che caratterizza, come in molte democrazie occidentali, una parte dell'elettorato venezuelano. Si stima che circa il 15% del REP costituisca un nucleo che raramente partecipa a qualsiasi tipo di consultazione elettorale, indipendentemente dal contesto politico o dalla posta in gioco, un dato sociologico consolidato, come evidenzia Mision Verdad.
D'altro canto, l'impatto della campagna astensionista attiva promossa da settori radicali dell'opposizione, guidati da María Corina Machado e sostenuta dall’ex candidato presidenziale Edmundo González Urrutia, è innegabile. Questa strategia deliberata sembra aver influenzato fino a un ulteriore 20% del REP, circa 4 milioni di potenziali elettori. È cruciale sottolineare, però, che questa scelta è stata un atto interno alla dinamica dell'opposizione stessa, non una reazione spontanea e generalizzata "contro il sistema".
La profonda frammentazione e debolezza endemica dell'opposizione ha giocato un ruolo altrettanto decisivo. La presenza di due principali coalizioni (Alianza Democrática e UNTC Única) accanto a numerosi candidati indipendenti ha frantumato il voto e l'offerta anti-chavista. Le campagne sono state ampiamente percepite come deboli, disarticolate e scollegate dalle esigenze concrete della popolazione. Questa mancanza di un'alternativa credibile, unita e attraente ha inevitabilmente demotivato molti potenziali elettori dell'opposizione, indipendentemente dai loro dubbi sul CNE. La disaffezione politica tra i simpatizzanti anti-chavisti, alimentata da anni di strategie di disconoscimento elettorale portate avanti dalle loro stesse frange estremiste – ben prima e ben oltre la figura di Machado – ha creato un clima di sfiducia e disillusione che ha ulteriormente trattenuto molti dall'esercitare il voto. Questi elettori non hanno obbedito solo a un richiamo astensionista, ma hanno espresso sfiducia verso le proprie leadership e candidati.
Mentre l'opposizione si paralizzava tra divisioni e appelli all'astensione, il chavismo ha dimostrato una mobilitazione efficace e coerente. I dati elettorali mostrano che il suo bacino di sostegno si è mantenuto stabile rispetto a elezioni simili, come quelle regionali del 2021. Le percentuali schiaccianti ottenute in stati tradizionalmente chavisti, raggiungendo punte del 90% come in Apure, sono la prova evidente che la sua base si è recata alle urne. Al contrario, ampi settori dell'elettorato potenzialmente oppositore sono rimasti a casa, intrappolati nella disillusione o seguendo la strategia fallimentare dei settori più radicali e che rispondono sostanzialmente a strategie elaborate in quel di Washington.
In ultima analisi, ridurre il dato del 42,63% di astensione a una semplice "condanna popolare" del processo o a una prova di illegittimità è un'operazione analiticamente povera e ideologicamente orientata. Tale lettura ignora volutamente il peso determinante della diaspora venezuelana, la presenza fisiologica di un astensionismo strutturale, l'impatto calcolato di una campagna astensionista promossa dall'interno stesso dell'opposizione, la paralizzante frammentazione e debolezza delle forze anti-chaviste e la costante mobilitazione dell'elettorato chavista. Le accuse superficiali del circuito informativo mainstream occidentale, focalizzate in modo ossessivo sull'astensione privata del suo contesto, servono più a delegittimare un esito scomodo che a comprenderne le reali dinamiche.
La vittoria del chavismo è schiacciante nei numeri e nella geografia del potere. L'astensione è stata in larga misura un fenomeno interno al campo oppositore, frutto delle sue strategie controproducenti e delle sue storiche divisioni. Il Venezuela si avvia dunque a un nuovo ciclo politico, con istituzioni definite: un esecutivo e un parlamento a salda maggioranza chavista e governi regionali pressoché totalmente allineati, pronti, come affermato da Cilia Flores, a lavorare per sostenere le politiche di Maduro e affrontare le sfide nazionali e internazionali.
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