Anche ai più digiuni di storia, il parallelo tra Nativi del Nord America e popolo palestinese, accomunati dalla lunga espropriazione dai propri territori e da un GENOCIDIO, non è passato inosservato. Abbiamo già visto in un articolo di questa rubrica come, in particolare, gli Oglala Lakota di Pine Ridge siano schierati a spada tratta a favore dei palestinesi.
Navi di solidarietà
Nel Mediterraneo dell’estate 2025, le imbarcazioni Madleen e Handala hanno solcato le acque con un obiettivo semplice e immenso: rompere l’assedio di Gaza portando aiuti e speranza. Le Freedom Flotillas, dal 2010 a oggi, non sono solo navi: sono gesti simbolici che sfidano il blocco, testimoniando davanti al mondo la richiesta di corridoi umanitari e di giustizia. In questo scenario, accanto ad attivisti internazionali, sono emerse con forza voci indigene del Nord America: donne e uomini delle Prime Nazioni canadesi e delle comunità native statunitensi che hanno visto, nella lotta del popolo palestinese, un riflesso delle proprie storie di sopravvivenza e resistenza.
Le voci dalla barca
Dr. Suzanne Shoush (St’át’imc / Leq’á:mel First Nation, Sudanese), medica, figlia di radici indigene e sudanesi, ha parlato dal ponte della nave, guardando le onde che separavano la flottiglia da Gaza: “Siamo qui per sostenere gli sforzi globali per rompere l’assedio di Gaza, come atto di solidarietà indigena globale.” Ha aggiunto poi: “Gli antenati di mia madre non hanno sopportato colonialismo e fame perché io restassi in silenzio. Break the siege, Free Palestine.” Il suo linguaggio intreccia cura e resistenza, due valori profondamente radicati nella medicina tradizionale e nelle culture indigene. Shoush legge la tragedia di Gaza come un’emergenza sanitaria globale e, allo stesso tempo, come una questione di dignità indigena.
Mskwaasin Agnew (Cree/Dene, Salt River First Nation). Giovane attivista, ha srotolato sul ponte la Warrior Flag, la stessa che aveva sventolato a Standing Rock contro gli oleodotti:
“Questa Warrior Flag è stata a Standing Rock… è un simbolo di Global Indigenous Solidarity: nessuno è libero finché tutti non siamo liberi.” E ha detto: “Il momento di prendere posizione è ora… Alzati. Fai qualcosa. Free Palestine.” Il gesto è potente: la bandiera già sventolata a Standing Rock durante le mobilitazioni NoDAPL per proteggere il Missouri River oggi sfida il blocco di Gaza. È un ponte simbolico tra due popoli che conoscono l’assedio coloniale e la necessità di resistere. Le sue parole inscrivono la flotilla nella continuità delle lotte indigene per l’acqua come bene relazionale.
La delegazione indigena
Nei comunicati della Freedom Flotilla Coalition 2025 compare anche un gruppo che si presenta come “Indigenous delegation”. Nelle foto e nei post social compaiono bandiere, simboli e dichiarazioni di solidarietà: segni che la voce indigena non è un episodio isolato ma una presenza riconosciuta, soprattutto nell’asse Canadian Boat to Gaza/Women’s Boat.
Una genealogia di solidarietà
Le presenze indigene nelle flotillas non sono una novità. Già nel 2011, l’American Indian Movement (AIM-West) aveva inviato Jimbo Simmons (Choctaw) a bordo di una nave diretta a Gaza. La sua partecipazione stabilì un precedente: il diritto indigeno di essere presenti nei luoghi in cui la libertà viene negata.
Negli Stati Uniti, la solidarietà con la Palestina si è rafforzata dopo il 2023.
Relazioni storiche: Palestina e Turtle Island
La connessione non nasce dal nulla. Le parole indigene per Gaza si nutrono di memorie condivise:
La flotilla, in questa lettura, non è solo una nave di aiuti: è una cerimonia sull’acqua, un atto simbolico di cura e di resistenza che lega due mondi lontani. È la pedagogia del mare come spazio di responsabilità condivisa.
Onde che uniscono
Nonostante i rischi — intercettazioni in acque internazionali, arresti, sequestri — le flotillas continuano a salpare. E tra le loro onde viaggiano anche le voci indigene.
Le parole di Shoush e Agnew, le delibere tribali, i ricordi di AIM-West sono tasselli di un mosaico più grande: la consapevolezza che la libertà di un popolo non può essere pensata senza la libertà di tutti.
Oggi, quando le bandiere indigene sventolano sul Mediterraneo, esse raccontano al mondo che la lotta palestinese e quella dei Nativi non sono battaglie isolate, ma correnti di uno stesso fiume, che scorre attraverso continenti e secoli. E ogni traversata ribadisce che la solidarietà, come l’acqua, trova sempre una via.
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