di Gilberto Trombetta
Il taglio dei parlamentari ha l'obiettivo di disgregare la Repubblica della Costituzione riducendo la rappresentatività del Parlamento.
Si tratta di un progetto eversivo del modo di governare lo Stato, cioè del rapporto tra istituzioni centrali (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo).
Dopo il passaggio dal proporzionale al maggioritario, dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, dopo la sostituzione delle preferenze con liste chiuse e bloccate, tocca al taglio dei parlamentari.
È il sogno della P2 di Licio Gelli fatto realtà¹.
I padri costituenti, nel 1948, avevano parametrato il numero dei parlamentari alla popolazione: 1 deputato ogni 80.000 abitanti; 1 senatore ogni 200.000.
La revisione costituzionale del 1963 ha fissato il numero totale a 945 (315 senatori, 630 deputati), corrispondenti oggi a 1 deputato ogni 96.006 abitanti e un senatore elettivo ogni 188.424).
Se vincesse il sì al referendum sparirebbero 115 senatori e 230 deputati, portando il numero dei parlamentari da 945 a 600.
Con il pretesto di risparmiare 57 milioni di euro l’anno (lo 0,006% della spesa pubblica italiana), cioè un caffè a testa, per eleggere un deputato ci vorranno 151.210 elettori, anziché 96.006, per un senatore 302.420 anziché 188.424.
Equivarrebbe insomma a dimezzare la rappresentanza popolare in Parlamento. Una limitazione inaccettabile della sovranità: a maggior ragione perché auto-imposta.
Eppure l’Italia è già uno dei Paesi col più basso rapporto tra popolazione e parlamentari² (tabella 1).
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