La Festa dei precari e dei sottopagati

01 Maggio 2024 10:00 Gilberto Trombetta

di Gilberto Trombetta


«Arriverà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più potente delle voci che oggi strangolerete».

Furono le ultime parole di August Spies prima di essere impiccato, colpevole di aver manifestato per rivendicare i propri diritti di lavoratore. Era l’11 novembre 1887. Insieme a lui furono uccisi anche Albert Parsons, Adolph Fischer e George Engel.

Insieme a Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe vennero tutti condannati in seguito a un processo farsa per la rivolta di Haymarket (una piazza di Chicago) del 4 maggio 1886 in cui morirono almeno 11 persone (7 poliziotti e 4 manifestanti), 10 delle quali uccise dalla polizia.

La manifestazione di Haymarket si tenne per protestare contro l’uccisione da parte della polizia di due lavoratori e il ferimento di decine di loro avvenuto durante il lungo sciopero iniziato il 1° maggio 1886 per chiedere la riduzione della giornata lavorativa degli operai a 8 ore.

Nel 1889, la Seconda Internazionale decise che il 1° maggio sarebbe diventato la festa internazionale per i diritti dei lavoratori in memoria dei martiri di Haymarket.
Diritti ottenuti uno a uno con quasi un secolo di lotte e di sacrifici che in Italia portarono poi alla legge 300 del 20 maggio 1970, lo Statuto dei lavoratori.

Lotte e sacrifici che, oggi, sono stati resi quasi del tutto vani a causa di più di 30 anni di riforme regressive del mercato del lavoro.

Dal taglio della scala mobile – che consentiva l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione - del 14 febbraio dell'1984 alla sua abolizione nel 1992.

Dal pacchetto Treu del 1997 alla legge Biagi del 2003 che hanno introdotto l'odioso lavoro interinale.

Dal DL 368/2001 al Jobs Act, passando per la legge Fornero, che modificando la legge 230 del 1962 hanno di fatto progressivamente liberalizzato i contratti atipici. Quelli cioè a tempo determinato.

Dal decreto Sacconi del 2011 che ha consentito accordi sindacali al ribasso rispetto ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro al decreto Poletti del 2014 che ha ulteriormente favorito la precarizzazione facendo aumentare i contratti a tempo determinato e quelli di apprendistato.

L’ultima ciliegina sulla torta è stato il DL Lavoro del Governo Meloni che ha esteso l’uso dei contratti a termine, cioè di quelli precari.

Prima dell’ingresso nell’Unione Europa, l’Italia aveva un mercato del lavoro più tutelato della maggior parte dei Paesi europei. Tra cui Francia e Germania.

Un mercato del lavoro troppo rigido e poco flessibile, secondo gli aedi della neolingua.

Oggi, dopo 32 anni di riforme regressive imposte dai Governi di tutti i colori al grido di “ce lo chiede l’Europa”, il mercato del lavoro italiano è più flessibile (cioè meno tutelato) di quello francese e tedesco.

E infatti dal 1992 a oggi i lavoratori precari siano raddoppiati passando da 1,5 milioni a 2,9 milioni.

Negli ultimi 20 anni i lavoratori costretti al part-time involontario sono passati dal 38,3% al 64,6% sul totale dei lavoratori part-time (circa 2,4 milioni di persone), mentre i lavoratori poveri sono passati dal 9,4% all’11,7% (quasi 3 milioni di persone).

Sempre negli ultimi 20 anni gli italiani più o meno costretti a scappare all’estero in cerca di lavoro, salari dignitosi e migliori condizioni di vita siano quasi triplicati passando dai 2,3 milioni del 2000 ai 6 milioni attuali (di cui quasi 2 milioni di giovani laureati).

Ci sono circa 2 milioni di disoccupati e 8 milioni di inattivi nella fascia 25-64 anni (12,2 milioni nella fascia 15-64). Il tasso di occupazione è del 61,9%, uno dei peggiori tra i Paesi OCSE.

Senza considerare che viene conteggiato come occupato anche chi ha lavorato una sola ora nella settimana di riferimento e anche se pagato in natura

Così facendo negli ultimi 20 anni i poveri assoluti sono triplicati, passando da 1,9 milioni di italiani a 5,7 milioni. Quelli in condizione di povertà relativa sono aumentati del 50% passando da 5,7 milioni a 8,2.

La quota salari sul PIL è crollata spaventosamente dal suo massimo passando dal 77% del 1960 al 59% del 2022 (-24%) mentre la quota profitti è raddoppiata passando nello stesso periodo dal 23% al 41%.

E infatti oggi in Italia il 20% più ricco detiene oltre 2/3 della ricchezza nazionale (68,6%) mentre al 60% più povero dei cittadini si spartisce appena il 14% della ricchezza nazionale.
Il 10% più ricco della popolazione possiede oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera.

Il 5% più ricco detiene da solo il 41,7% della ricchezza nazionale mentre l’80% più povero solo il 31,4%.

L’1% più ricco possiede il 23,3% della ricchezza nazionale: più di 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.

Insomma oggi, dopo 30 anni di riforme che hanno quasi del tutto annullato i risultati ottenuti dalle lotte per i diritti dei lavoratori combattute tra la seconda metà del 19esimo secolo e la prima metà del 20esimo, non c’è niente da festeggiare.

Vale invece la pena ricordare l’origine di questa ricorrenza. Vale la pena ricordare il sacrificio di Spies, Parsons, Fischer ed Engel. E di miglia di lavoratori come loro che nel corso dei decenni hanno lottato sacrificando anche la vita per i diritti dei lavoratori. DI tutti i lavoratori.



Perché la lotta di classe, se non la combatti, puoi solo perderla.

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