AGGIORNAMENTO 15 OTTOBRE 2024
di Leonardo Sinigaglia
Elena Chesakova è viva!
La donna di Odessa che ha sventolato il tricolore russo sul piedistallo della statua a Caterina II qualche giorno fa, data per morta da fonti dissidenti ucraine tra cui l’ex deputato Oleg Tsarev, è in realtà sopravvissuta all’interrogatorio e alla detenzione. A darne notizia e Russia Today, che è riuscita a raggiungere i genitori di Elena, che hanno confermato come la figlia, dopo essere sparita nelle mani della polizia del regime, è stata portata in tribunale dove è riuscita ad ottenere gli arresti domiciliari.
La notizia della sua morte, diffusa anche da parte della stampa russa, si tratterebbe quindi di un errore di comunicazione, un falso che ha trovato terreno fertile nella confusione rilanciato anche da canali telegram ucraini vicino al regime. Ciò ha creato qualche sospetto. Il canale telegram “Odessa per la Vittoria!”, uno dei tanti mezzi di comunicazione della rete clandestina filo-russa della città, ha visto diversi interventi che raccontano come la donna, conosciuta dal 2014, non fosse mai stata coinvolta in attività partigiane per il suo carattere avventato e incendiario: “Ho visto questa signora nel 2014, quando a volte veniva al campo di Kulikovo. Già allora era chiaro che era un po' fuori dal suo elemento. Datele una granata e ditele che è così che deve essere: la lancerà e basta. Ecco perché non era una risorsa per noi. In generale, abbiamo cercato di evitarla. Ed è chiaramente visibile in quei video che i canali-spazzatura ucraini sono stati i primi a pubblicare”. Secondo alcuni potrebbe trattarsi di un gesto strumentalizzato dai servizi segreti ucraini, che hanno diffuso la notizia della morte sia per screditare i media russi, sia per identificare i dissidenti di Odessa rintracciando le condivisioni della notizia. Altri ancora si spingono più in là, affermando che potrebbe essere stata persino una provocazione dell’SBU, che, magari attraverso qualche agente presentato come parte della resistenza, avrebbe potuto indurre Elena Chesakova a compiere il gesto, basandosi sulla sua predisposizione caratteriale .
Che si sia trattato di un coraggioso gesto di una cittadina di Odessa stufa del regime, di un’azione voluta dall’SBU o di una provocazione ciò non toglie che dobbiamo tutti rallegrarci per ciò che è emerso. Elena è stata molto fortunata. Purtroppo non lo sono state le migliaia di cittadini ucraini che dal 2014 sono stati assaliti, rapiti e assassinati dal regime di Kiev per le proprie idee politiche
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di Leonardo Sinigaglia - 13 ottobre 2024
Una notizia che non apparirà nei media occidentali: Elena Chesakova, cittadina di Odessa che aveva esposto la bandiera russa per dire basta a una guerra voluta dalla NATO, è deceduta mentre era tenuta in custodia dalla polizia del regime di Kiev. La morte è ufficialmente attribuita a un infarto. “Il suo cuore non ha retto”, dicono gli agenti[1], ma è più che probabile, si potrebbe dire quasi certo visti i precedenti della repressione contro i dissidenti politici, che Elena sia morta per le violenze ricevute dopo l’arresto.
La sera dell’8 ottobre, Elena Chesakova è salita sul piedistallo del monumento a Caterina II[2], la zarina fondatrice della città, già smantellato dalle autorità del regime nel 2022 nell’ambito della campagna contro la “russificazione” iniziata nel 2014 ma cresciuta d’intensità a partire dal 2022 arrivando, tra le altre cose, anche al rogo delle opere di Pushkin. Elena aveva in mano una bandiera russa e, sfidando la violenza di numerosi banderisti accorsi per lanciare insulti e oggetti contro di lei, ha iniziato a parlare affermando che ucraini e russi fanno parte dello stesso popolo, che la guerra è stata voluta dalla NATO e degli Stati Uniti e che non è negli interessi di nessuno slavo combatterla.
Frasi coraggiose e di buon senso che risplendono in un paese avvolto in una pesante cappa di censura e fanatismo resa possibile non solo dagli apparati del regime di Zelensky e delle sue milizie neonaziste, ma anche, e soprattutto, dal continuo supporto politico e militare occidentale. Frasi che però non potevano essere accettate da chi è impegnato da anni a propagandare la “guerra totale” contro il nemico moscovita. Elena Chesakova è stata rapidamente trattenuta da militanti neonazisti e consegnata alla polizia. Come da tradizione, questa ha tentato di mettere pressione psicologica affinché Elena si “scusasse” pubblicamente tramite un video, magari adducendo come scusa problemi psicologici, l’aver bevuto troppo o l’essere stata pagata da qualcuno, come più volte successo in caso di dissidenti politici arrestati. Ma Elena ha tenuto duro, e davanti alle telecamere dell’SBU ha affermato la natura politica del suo gesto: “Non perdonerò mai coloro che hanno attaccato il Donbass e Odessa nel 2014. Ovviamente, sono state le Forze armate ucraine, erano lì fin dall'inizio... Sostengo il mondo russo, sostengo la Russia, sostengo Vladimir Vladimirovich Putin. Quando questi ragazzi che vanno a caccia di soldi per difendere la nostra presunta patria…da chi? Dai nostri fratelli slavi? Penso che la NATO, l'America stiano facendo tutto questo... Questo viene fatto per distruggere gli slavi"[3].
Per queste affermazioni e per il suo gesto è stata quindi denunciata in base all’articolo del codice penale che punisce chi giustifica, nega o riconosce come legittima “l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina”. Formalmente per questa accusa avrebbe rischiato anche tre anni di carcere, andando a unirsi in caso di condanna a migliaia di dissidenti politici, dai sacerdoti della Chiesa Ortodossa Ucraina ai militanti comunisti e antifascisti. Ma “il suo cuore non ha retto”, o meglio qualcuno ha deciso di “darle una lezione”, per sfogare la frustrazione di non riuscire, nonostante il colossale supporto internazionale, a sconfiggere il nemico esterno su un ben più fragile nemico interno.
Si tratta purtroppo a scene a cui il regime ucraino ci ha abituati. Nella sua difesa militante dei pretesi “valori europei”, le autorità di Kiev hanno ucciso giornalisti come Gonzalo Lira, assassinato civili stranieri rei di portare un certo cognome, come Darya Dugina, promosso aggressioni contro Chiese e sacerdoti, incarcerato chi aveva fatto un post “sbagliato” sui social o aveva aderito a un partito “nemico”, come nei casi dei fratelli Kononovich e di Alexander Matyushenko, massacrato “collaborazionisti, come testimoniano fosse comuni rinvenute in tutti i territori liberati dall’occupazione banderista…l’uccisione di una donna coraggiosa come Elena Chesakova non è che l’ennesimo crimine di Zelensky, un crimine reso però possibile unicamente dall’intervento euro-atlantico del 2014 che ha gettato l’Ucraina nelle mani di milizie estremiste e fanatiche pronte al sistematico sterminio degli oppositori.
[1] https://it.news-pravda.com/world/2024/10/10/76926.html
[2] https://t.me/contronarrazione/5120
[3] https://by.tsargrad.tv/news/pytavshajasja-vyvesit-flag-rossii-v-odesse-zajavila-chto-podderzhivaet-putina_1064990
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