di Gilberto Trombetta
Gli articoli 3, 4 e 36 della Costituzione rappresentano condizioni essenziali per la realizzazione di quanto previsto nell'articolo 1. E cioè che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Nell'articolo 3 si dice infatti che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Questo perché lo Stato, nell'articolo 4, «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Non basta però "solo" garantire il lavoro.
Nell'articolo 36 i Padri costituenti ci spiegano anche che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
A partire dagli anni 80 però i diritti dei lavoratori - quindi il cuore vivo della Costituzione - sono stati aggrediti da una serie di leggi che hanno smontato pezzo per pezzo quanto faticosamente conquistato nei decenni precedenti.
Dal taglio della scala mobile del 14 febbraio dell'84 alla sua abolizione nel 1992.
Dal pacchetto Treu del 1997 alla legge Biagi del 2003 che hanno introdotto l'odioso lavoro interinale.
Dal DL 368/2001 al Jobs Act, passando per la legge Fornero, che modificando la legge 230 del 1962 hanno di fatto progressivamente liberalizzato i contratti atipici. Quelli cioè a tempo determinato.
E poi il decreto Sacconi del 2011 che ha consentito accordi sindacali al ribasso rispetto ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro. E ancora il decreto Poletti del 2014 che ha ulteriormente favorito la precarizzazione facendo aumentare i contratti a tempo determinato e quelli di apprendistato.
Ecco come siamo arrivati ad avere 4,5 milioni di poveri assoluti e 9 milioni di italiani in condizioni di povertà relativa.
Quasi 14 milioni di inattivi e più di 2 milioni di disoccupati.
Ad avere 12 lavoratori su 100 che vivono sulla soglia della povertà a causa dei salari troppo bassi.
4,3 milioni di lavoratori part time, di cui 2 su 3 involontari. Sì tratta cioè di persone pagate così poco da essere costrette a fare 2 o 3 lavori per sopravvivere.
Ci siamo arrivati perché la Costituzione e i diritti dei lavoratori sono stati attaccati e vilipesi.
Perché ci siamo dimenticati la lezione dei Padri costituenti. E cioè che il lavoro è un diritto costituzionalmente garantito, universale e non concorrenziale.
Perché senza lavoro e una retribuzione dignitosa, un cittadino non può essere davvero libero di partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese.
Perché, come diceva Lelio Basso nel 1947, «finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica».
Eppure le ricette che ci propongono sono sempre le stesse che ci hanno portati fino a qui: una maggiore precarizzazione del lavoro.
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