Parlate di salari, non (solo) di prezzi!

18 Agosto 2023 19:00 Gilberto Trombetta

Negli ultimi giorni, come capita spesso d’estate nell’epoca dei social e delle polemiche sterili, la stampa è tornata a parlare degli “scontrini pazzi”.
Così le persone hanno avuto un’altra dose di polarizzazione finalizzata proprio a innescare l’ennesima polemica sterile che serve a tenere fuori dal discorso il nocciolo del problema attraverso i sempre più frequenti conflitti orizzontali (o sezionali che dir si voglia).

E sì perché, vedete, il problema non è quanto si spende per una vacanza in una località piuttosto che in un’altra.

Il problema è perché sempre meno italiani possono permettersi una vacanza. O sono costretti a indebitarsi per farla.

Insomma il problema sono i salari, non i prezzi in sé (salvo ovviamente qualche eccezione che però c’è sempre stata ed è aneddotica).

Parlare di prezzi e non di salari vuol dire fissare il dito mentre qualcuno indica la luna.

Quella che vedete nel grafico sottostante è l’evoluzione (involuzione sarebbe più corretto) dei salari reali italiani divisi per decili di reddito tra il 1991 e il 2020¹.


I salari reali sono i salari al netto del costo della vita, cioè dell’inflazione.

I decili di reddito rappresentano le varie fasce di distribuzione del reddito: il primo decile è il 10% della popolazione col reddito più basso mentre il decimo decile è il 10% col reddito più alto.

Tutte le fasce di reddito, tranne il 10% più ricco, hanno visto calare i salari. Anche di oltre il 30%. E mancano i dati del 2021 e del 2022 che sicuramente hanno visto la situazione aggravarsi ulteriormente (capita quando hai l’inflazione alta ma hai abolito la scala mobile…).

Com’è stato possibile?

È stato possibile con 30 anni di riforme regressive del mercato del lavoro al grido di “ce lo chiede l’Europa!”. Il nostro mercato del lavoro era troppo rigido.

Che nella neolingua imperante vuol dire che i lavoratori erano troppo tutelati.

Riforme che hanno ovviamente fatto aumentare clamorosamente la precarietà (raddoppiata negli ultimi 30 anni).

È stato possibile perché per entrare nella UE ci sono state chieste privatizzazioni (cioè la svendita dell’IRI), liberalizzazioni (negli ultimi 2 anni abbiamo tutti apprezzato i vantaggi della liberalizzazione del mercato dei prezzi energetici) e taglio della spesa pubblica (l’Italia dal 1992 a oggi ha fatto 27 anni di avanzi primari, per un totale di quasi 1.000 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica).

È stato possibile perché con l’adozione dell’euro, non potendo svalutare la moneta per assorbire gli shock esterni, siamo costretti a svalutare i salari.

È stato possibile con la lenta e progressiva disarticolazione dei corpi intermedi, cioè dei sindacati e dei partiti popolari di massa.

È stato possibile perché negli ultimi 40 anni, ma ancora di più dopo Tangentopoli (un colpo di Stato bianco), abbiamo avuto una classe politica di venduti e di pavidi servi che hanno tutelato solo gli interessi del grande capitale, soprattutto straniero.

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