di Fabrizio Verde
«Dovremmo recuperare una parola desueta: sacrifici. Davvero possiamo avanzare nell’integrazione europea, reggendo due guerre sulle nostre frontiere, senza sacrifici? L’Italia non si è fatta senza spargimenti di sangue: non sarebbe bastata la finezza di Cavour, è servito l’esercito piemontese, con i volontari, i garibaldini...».
A dichiararlo, al Corriere della Sera, è l'ex presidente del Consiglio italiano Mario Monti. Il richiamo al "sacrificio" e alla necessità di affrontare le "due guerre sulle nostre frontiere" è non solo imprudente, ma potrebbe anche essere interpretato come un tentativo di giustificare politiche di guerra che rischiano di trascinare il mondo intero in una nuova guerra mondiale.
I liberisti, con le loro ricette economiche basate sulla deregolamentazione, la privatizzazione e la riduzione ai minimi termini del ruolo dello Stato nell'economia, hanno causato danni devastanti in tutto il mondo. Dall'America Latina all'Europa orientale, dalle politiche di austerity imposte alla Grecia alla deregolamentazione finanziaria che ha portato alla crisi del 2008, i fallimenti delle idee neoliberiste sono evidenti per chiunque abbia occhi per vedere e sia dotato di onestà intellettuale.
Invece di imparare dagli errori del passato, Monti sembra voler perpetuare un approccio economico che ha già dimostrato la propria inefficacia e dannosità. Il suo richiamo al "sacrificio" potrebbe essere interpretato come un tentativo di giustificare politiche che, nel migliore dei casi, portano a una maggiore disuguaglianza e precarietà, e nel peggiore dei casi, alla rovina economica e sociale. Oltre a voler paventare la necessità di adottare un’economia guerra perché ormai le èlite hanno deciso di passare a una nuova fase di confronto diretto con la Russia.
Questa retorica bellicosa non solo mette a rischio la sicurezza e la ormai sempre più illusoria prosperità dell'Italia, ma potrebbe anche avere conseguenze catastrofiche per l'intera regione europea. È importante condannare fermamente qualsiasi tentativo di giustificare politiche di guerra e di promuovere un clima di paura e paranoia – basato sulla russofobia e la sinofobia - che potrebbe portare a un conflitto su vasta scala.
Al contrario, l'Italia dovrebbe guardare al futuro e aprirsi al nuovo mondo multipolare che si sta delineando. La cooperazione con le nazioni riunite nel blocco BRICS rappresenta un'opportunità reale per il nostro paese. L'Italia, con la sua posizione strategica nel Mediterraneo, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare.
La cooperazione economica e politica con i BRICS potrebbe non solo rafforzare l'economia italiana, ma anche contribuire alla stabilità e alla prosperità della regione mediterranea. Invece di abbracciare un approccio bellicoso, l'Italia dovrebbe lavorare per promuovere la pace e la cooperazione tra le nazioni.
Inoltre, il passaggio in cui Monti fa riferimento alla formazione dell'Italia e al ruolo dell'esercito piemontese, con i volontari e i garibaldini, è particolarmente infausto e fuori luogo. Mentre è vero che l'unità italiana è stata raggiunta anche grazie ai sacrifici di molti, è importante ricordare che le popolazioni del sud Italia hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e sofferenza.
Basti pensare agli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, dove centinaia di persone innocenti sono state massacrate dalle truppe piemontesi nel 1861, durante la campagna di unificazione. Questi eventi sono ancora vividi nella memoria delle comunità del sud Italia e rappresentano una ferita aperta che grida ancora vendetta. Scrive a tal proposito lo storico Angelo Del Boca nel suo libro ‘Italiani, brava gente?’: “Tra l’annessione delle regioni del Meridione, culminata con la resa di Gaeta il 15 febbraio 1861, e l’infausta giornata di Custoza (24 giugno 1866), l’Italia appena unificata si trovò a combattere una guerra imprevista, insidiosa, infinita e spietata.
Fu chiamata, sbrigativamente e rozzamente, guerra al brigantaggio. Ma i briganti, che in quelle regioni esistevano da sempre, costituivano un’infima minoranza, anche se aggressiva e crudele. La maggioranza degli insorti contro lo Stato unitario era formata da almeno 10.000 soldati dell’esercito borbonico, che si erano dati alla macchia dopo la fuga a Roma di Francesco II di Borbone. A questi soldati, delusi e umiliati e per nulla disposti a entrare nell’esercito dei Savoia, si erano uniti migliaia di braccianti senza terra e paesani che rifiutavano la leva obbligatoria e gli inasprimenti fiscali.
Fu, come giustamente fa rilevare Mario Isnenghi «una guerra senza regole e senza onore». Ma fu anche una guerra di tipo coloniale, che anticipò, per le inaudite violenze e il disprezzo per gli avversari, quelle poi combattute in Africa. Non fu forse il generale d’armata Enrico Cialdini, luogotenente di re Vittorio Emanuele II a Napoli, a dichiarare: «Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono latte e miele». […] Tra i mille e più attacchi che le truppe dell’esercito regolare hanno condotto nel corso della guerra al brigantaggio nessuno eguaglia, per ferocia e numero delle vittime, quello portato a termine con manifesta premeditazione il 14 agosto 1861 contro le popolazioni di due grossi paesi campani, Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento”.
In conclusione, le parole di Monti riflettono una visione del mondo antiquata ed estremamente pericolosa. È tempo di guardare avanti e abbracciare un futuro basato su cooperazione, inclusione, una sincera presa d’atto del multipolarismo emergente. L'Italia ha l'opportunità di diventare un leader nel nuovo ordine mondiale multipolare, ma per farlo deve abbandonare le idee neoliberiste del passato e abbracciare una visione orientata al futuro e sui propri interessi. Liberarsi dal dominio nefasto di Stati Uniti e NATO che rischiano di portare l’Italia e l’intero continente europeo al disastro.
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