di Gilberto Trombetta
Dopo il Presidente del Consiglio e buona parte della stampa, anche il viceministro dell’economia, Laura Castelli, mente sul Recovery Fund.
Mente sia parlando dei 100 miliardi che riceverà l’Italia e mente dicendo che arriveranno a settembre quando ormai anche i sassi sanno che, nella migliore delle ipotesi, se ne parlerà per i primi mesi del prossimo anno, dopo l’accordo sul prossimo bilancio UE previsto per febbraio 2021.
Ma, soprattutto, mente quando parla di soldi a fondo perduto.
L’accesso al Recovery Fund prevede infatti un “piano vincolante di restituzione”.
Si tratta insomma di un prestito, quindi - per noi - di un debito.
Non solo.
I 500 miliardi del fondo ancora non esistono e andranno raccolti sui mercati attraverso appositi strumenti. Probabilmente dei bond a lunga scadenza.
Bond che dovranno però essere garantiti dagli Stati membri in proporzione al loro PIL. E l’Italia è il terzo Paese per contributi. È cioè un contribuente netto della UE. Da sempre. Riceve insomma indietro dal bilancio europeo sempre meno di quanto metta.
Vuol dire che l’Italia dovrebbe coprire tra l’11% e il 15% di questo fondo. Una cifra che si aggira tra i 55 e i 75 miliardi.
Basandosi poi sul bilancio UE, oltre alla garanzie messe dagli Stati, c’è il serio rischio che comporti maggiori contributi da parte degli stessi. Cioè nuove tasse. Sempre con l’Italia che è contribuente netto della UE.
Inoltre il fondo non raccoglierà più di 100 miliardi l’anno, per ammissione della stessa Von der Leyen. Il che vuol dire che i prestiti che farà saranno erogati non tutti insieme, ma a tranche annuali (riducendo ulteriormente l’impatto di una cifra di suo già irrisoria rispetto all’entità della crisi).
Come se non bastasse, l’accesso al prestito, sarà subordinato al solito piano di riforme strutturali. Cioè austerità e taglio dei servizi pubblici. Come il SSN. L’ennesima variante della troika.
Anche l’utilizzo del prestito sarà vincolato a condizioni stringenti. Come l’uso per la riconversione “green”. Venendo la proposta da Francia e Germania, il dubbio che vogliano socializzare con gli altri Paesi i costi della riconversione verde del loro settore automobilistico è più che lecita.
Insomma il Recovery Fund non darà soldi a fondo perduto, ma prestiti subordinati al solito piano di riforme lacrime e sangue. Inoltre essendo garantito dagli Stati ed essendo l’Italia contribuente netto, rischia di pagare due volte: per garantire la creazione del fondo e per rimborsare il prestito.
Nella migliore delle ipotesi sarà per noi una partita di giro che non ci aiuterà ad affrontare la crisi, ma che anzi la peggiorerà, potandoci però la troika in casa.
Nella peggiore delle ipotesi pagheremo noi per salvare l’economia degli altri Paesi, e ci ritroveremo comunque la troika in casa.
Il soliti affarone europeo.
Jamm ja
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