di Pasquale Liguori
È crollata una torre medievale nel cuore di Roma: la Torre dei Conti, da restaurare con fondi PNRR per quasi sette milioni di euro. Il tetto è venuto giù in più fasi, uccidendo un operaio, Octay Stroici, e ferendone altri. Doveva essere un cantiere simbolo; è diventato l’ennesimo monumento a un dolorosissimo omicidio sul lavoro, alla decadenza.
Poche ore dopo, la portavoce russa Maria Zakharova ha commentato: “Finché il governo italiano continuerà a sprecare inutilmente i soldi dei contribuenti, l'Italia crollerà, dall'economia alle torri”
Una metafora ruvida, ma lucida. Eppure, è bastata per scatenare l’intero arco politico e con esso la solita compagnia di "opinionisti" e "pensatori" in poltrona, improvvisamente scossi da un rigurgito di patriottismo, di "Nazione, n maiuscola": indignazione unanime, richieste di convocare l’ambasciatore, cori di condanna. Tutti offesi, tutti moralmente puri.
Ma davvero serve tanto sdegno per una frase, quando un Paese che spende miliardi per la guerra lascia morire i propri lavoratori nei cantieri?
Chi ha insultato chi, in questi anni?
Nel febbraio 2025, il presidente Sergio Mattarella ha paragonato la Russia alla Germania nazista: un giudizio assoluto, pronunciato dalla più alta carica dello Stato. Nel 2022, il Parlamento Europeo ha dichiarato Mosca “stato sponsor del terrorismo”, cancellando in un voto ogni diplomazia. Draghi parlò dei “crimini di guerra di Putin” da punire, mentre il suo Giggino Di Maio espelleva trenta diplomatici russi “per ragioni di sicurezza nazionale”. Meloni ha definito la Russia “minaccia imperialista”; Crosetto ha denunciato “italiani corrotti da Mosca” e una “guerra cognitiva” contro l’Italia.
E oggi l’Italia si indigna per una metafora?
La frase di Zakharova brucia perché tocca il punto vero: l’Italia crolla davvero, e non per colpa di Mosca. Secondo il Kiel Institute, Roma ha destinato circa due miliardi di euro in forniture militari e garanzie all’Ucraina, prorogando gli aiuti fino a fine 2025 con il decimo pacchetto di armi. Intanto, nei primi nove mesi del 2025, 570 lavoratori sono morti in cantieri dove fretta e superficialità valgono più della sicurezza.
È un Paese che predica diritti e libertà all’estero mentre esporta bombe e morte e riproduce macerie in casa propria. Che convoca ambasciatori per una frase, invece di convocare se stesso davanti allo specchio e trovare il coraggio di sputare, finalmente, sull’immagine della propria ipocrisia.
Non è la Russia a insultare l’Italia.
È l’Italia che, tra una retorica di guerra e un cantiere che crolla, si è già insultata da sola.
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