Le banche regionali USA riprendono a traballare

05 Febbraio 2024 07:00 Giuseppe Masala

di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

Ha destato scalpore nell'opinione pubblica e in molti osservatori di fatti economici e finanziario il nuovo crollo delle banche regionali americane avvenuto in questi giorni a Wall Street.

Noi no, non siamo rimasti stupiti, già un anno fa infatti quando emerse l'estrema fragilità del sistema finanziario americano parlammo - praticamente da soli - di crisi sistemica; con questa terminologia si intende un fenomeno economico specifico, ovvero una crisi bancaria non dovuta alla mala gestio dei banchieri ma all'effetto di squilibri fortissimi nelle grandezze macroeconomiche fondamentali. Essendo il sistema bancario e finanziario di qualsiasi paese estremamente sensibile agli squilibri delle grandezze macroeconomiche fondamentali se questi si verificano in maniera molto forte e per periodi di tempo prolungati, come effetto principale si ha appunto il fallimento delle banche.

Riassumo brevemente che cosa accadde nella primavera dell'anno scorso in USA. Semplicemente, alcune banche regionali, comunque di rilevanti dimensioni e - come nel caso di Silicon Valley Bank - anche operanti in realtà territoriali note per dinamismo, innovazione e forte tasso di imprenditorialità, iniziarono a fallire. Immediatamente si alzarono i cori che volevano spiegare il fenomeno con il solito mix di crisi economica generale (sapete, le crisi economiche ogni tanto capitano, come i temporali...) e avidità dei banchieri che fanno operazioni troppo spericolate, tenendo così nascoste le reali motivazioni della crisi.

E' stata in realtà una crisi bancaria che si può ascrivere ad uno squilibrio fondamentale che ormai in maniera cronica colpisce il corpo dell'economia americana divorandolo dall'interno e rendendone il sistema finanziario particolarmente fragile. Il sistema economico di una qualsiasi nazione viene suddiviso per convenzione dagli economisti in tre macro aree fondamentali: le famiglie, il settore privato e la Pubblica amministrazione. Il “settore famiglie”, per definizione è quello che ha un surplus finanziario, ovvero è il settore che in aggregato “produce” risparmio. Al contrario, né il settore privato né la Pubblica amministrazione “producono” risparmio, ma al contrario lo “consumano” per poter finanziare i propri investimenti. Tenete bene a mente a questo punto: il sistema bancario e finanziario di una nazione ha proprio lo scopo fondamentale di mettere in contatto le famiglie, “produttrici” di risparmio e il settore privato e della Pubblica amministrazione “consumatori” di risparmio per definizione.

Ora, quando un sistema nazionale (ovvero, l'insieme delle famiglie, delle imprese private e della Pubblica amministrazione) è in equilibrio significa che le famiglie sono in grado di sopperire con il risparmio accumulato alle esigenze di investimento delle imprese private e della pubblica amministrazione. Più precisamente nell'ipotesi appena descritta ci si trova in una situazione di perfetto equilibrio, ma esistono anche altre due casistiche: quella nella quale il sistema nazionale ha una posizione finanziaria netta negativa, ovvero quella nella quale le famiglie non riescono a sopperire alle esigenze di investimento di imprese e stato e dove per ritrovare l'equilibrio bisogna far affluire capitali dall'estero (i cosiddetti “investitori internazionali”); l'altro caso è quello opposto, dove le famiglie producono più risparmio rispetto alle esigenze di investimento di imprese e stato, in tal caso il sistema ha una posizione finanziaria netta positiva e dunque dove il surplus di risparmio in eccesso rispetto alle esigenze nazionali viene investito all'estero.

Sotto questa specifica angolazione quale è la situazione degli Stati Uniti? La cosa è presto detta, basta controllare l'andamento del Net International Investment Position (NIIP).

Immagine 1: NIIP USA (Fonte: Federal Reserve St Louis)

Il grafico della Federal Reserve suggerisce che al 3 terzo trimestre del 2023 la posizione finanziaria netta americana è negativa per la sbalorditiva cifra di 18 mila e 160 miliardi di dollari. Questo significa che per tenere in equilibrio il sistema nazionale gli USA devono attrarre dall'estero verso il loro sistema l'enorme cifra indicata. Altrimenti questi squilibri emergono nel modo più classico: con il fallimento delle banche che non riescono a trovare i capitali necessari a finanziare le loro obbligazioni, mentre lo stato è costretto ad offrire tassi di interesse più alti per finanziare il proprio debito pubblico. E' chiaro che un simile terremoto comporta anche spostamenti molto violenti all'interno delle varie classi di asset del sistema finanziario nazionale: i risparmiatori (o più precisamente i loro money manager) vedendo il sistema traballare iniziano a spostare i capitali verso assets ritenuti più sicuri facendo così crollare quelli ritenuti più rischiosi. Ma il punto centrale è comunque, che il sistema ha difficoltà evidente a finanziare il proprio fabbisogno di capitali segnalato dal NIIP negativo per cifre siderali. E questo lo si comprende facilmente anche dal fatto che i grandi finanziatori degli USA, come per esempio gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita stanno sempre più abbandonando il dollaro e, conseguentemente, gli investimenti negli USA. Il resto è una conseguenza: si apre uno squarcio nel sistema americano, perchè gli investitori domestici - come mosche impazzite - percependo il pericolo iniziano a spostare i capitali dagli assets ritenuti più rischiosi e - a quel punto - le banche più esposte devono sobbarcarsi enormi perdite. In questo specifico caso, il settore entrato in sofferenza è quello CRE, Commercial Real Estate, gli immobili a uso commerciale.

Immagine 2: crollo delle quotazioni della New York Community Bancorp (fonte: Zerohedge)

Forse la banca americana che ha subito più perdite in questi giorni è stata la New York Community Bancorp, con crolli nelle quotazioni che hanno raggiunto circa il 40%. Ma anche altre banche hanno inanellato perdite considerevoli, come per esempio, la Western Alliance Bancorp, oppure Zions Bancorp, Comerica Webster Financial, Citizens Financial, Regions Financial, SouthState, Prosperity Bancshares, Schwab, PacWest, Huntington Bancshares. Un elenco considerevole come si può vedere.

Immagine 3: andamento gruppo di banche regionali (fonte: Zerohedge)

Interessante anche il caso della Aozora Bank, sedicesima banca più grande del Giappone che ha subito un crollo del 38% dopo aver comunicato al mercato perdite che mediamente sono del 50% su ingenti prestiti relativi al Commercial Real Estate americano.

Sia chiaro, questa situazione non significa (almeno per ora) che il sistema finanziario USA si stia avviando verso una resa dei conti in stile 2008 o addirittura 1929, nel senso che probabilmente la FED ha ancora margini per intervenire. In altri termini, se i capitali internazionali (segnatamente, arabi, cinesi e russi) non affluiscono quasi più negli Stati Uniti la FED può sempre trovare il modo per “stampare” dollari e finanziare le banche americane riportandole in equilibrio. Ma è chiaro che questo modo di procedere è valido per dare un altro calcio al barattolo e procrastinare la situazione senza risolverla definitivamente. E' altrettanto vero che presto o tardi la Federal Reserve si troverà nella situazione di dover scegliere tra il salvare il sistema finanziario americano stampando nuovi dollari e però rischiare la disintegrazione del dollaro stesso ormai inflazionato e per nulla attrattivo nei confronti degli investitori internazionali.

Un'ultima considerazione: gli USA si stanno impegnando a fondo per risolvere questo problema. Il modo è presto detto: ordinando a Israele di incendiare l'intero Medio Oriente così da riuscire a impedire la penetrazione russa e cinese nell'area e dunque obbligando "con le cattive" l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a ritornare nell'orbita americana (e dunque riprendendo così ad investire in USA) dopo la clamorosa entrata dei due ricchissimi paesi arabi nel BRICS. Se la perdita della Germania era per gli USA inaccettabile (e da queste pagine, l'abbiamo scritto innumerevoli volte) la fine del Petrodollaro è per gli USA questione di vita o di morte. Emblematica ed illuminante sotto questo aspetto una intervista del Segretario al Tesoro americano Janet Yellen rilasciata il 13 ottobre dell'anno scorso dove spiega come gli USA possono sostenere contemporaneamente sia Israele sia l'Ucraina nelle loro guerre.

La questione monetaria è il nucleo centrale della guerra mondiale “a pezzi” che stiamo vivendo e i nuovi scossoni del sistema finanziario USA non depongono di certo per una pace dietro l'angolo.

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