Quanto è popolare Assad in Siria?



di Fulvio Scaglione* - Occhidellaguerra

(Aleppo) Più giro per la Siria e parlo con la gente, altolocata o comune, e più mi convinco che il vero ostacolo a una pace immediata e duratura, oggi, non sono i terroristi concentrati a Idlib o a Daraa o le pretese di questo e quello ma il ruolo, direi anzi la figura simbolica di Bashar al Assad.

Qualunque sia l’opinione che si ha del presidente della Repubblica araba di Siria, resta un fatto indiscutibile. Dopo aver resistito da solo per quattro anni in pratica contro il resto del mondo ed essere infine stato salvato dai russi, Assad gode in patria dello stesso effetto di cui all’estero invece soffre.


In Europa e negli Usa Assad è considerato un brutale dittatore (“Un animale”, disse Donald Trump) che non ha esitato di fronte a nulla per conservare il potere. In Siria, invece, e proprio per gli stessi comportamenti, è considerato il leader che non ha in alcun modo ceduto ai progetti di distruzione e spartizione dello Stato unitario.


La radicalizzazione del conflitto, diventato presto un massacro con pochissimi freni, lo ha trasformato nel simbolo della resistenza del Paese di fronte agli intrighi sauditi, turchi, americani. A questo punto molti diranno: e l’opposizione? E i contestatori? E coloro che chiedevano più democrazia? Nessuno nega che ci fossero e che ci siano tuttora. Ma è indubbio che la maggioranza della popolazione fosse e sia con Assad.


Basta notare che in un Paese come la Siria, dove i musulmani sunniti sono circa il 75% della popolazione e i musulmani alauiti poco più del 10%, l’esercito non si è sfasciato (nonostante tutti i soldi investiti dalla Turchia per invogliare le diserzioni), l’amministrazione ha resistito, i potenti commercianti non hanno cambiato bandiera, e sono tutti o quasi rimasti con l’alauita Assad, esponente di una famiglia dominante che però, a sua volta, è pur sempre espressione di una piccola minoranza.


Effetto che è oggi ancor più forte di prima, visti i massacri che i foreign fighter e i miliziani locali (ma pur sempre foraggiati dall’estero) hanno compiuto in tutto il Paese. A Damasco quella realtà si sente fortemente. Qui ad Aleppo ancor più, perché la città, che per quasi quattro anni ha resistito all’assedio dei terroristi, ora si trova con i soldati turchi a quindici chilometri di distanza e con il familiare rimbombo delle cannonate che in certe notti risuona e richiama i tempi più cupi. Qui non scherzano quando dicono che il vero piano di Erdogan è portare Aleppo, con la sua vocazione produttiva e commerciale, sotto l’egida della Turchia.

Secondo voi, quanto può essere impopolare Assad, da queste parti? Ecco quindi il vero significato dell’episodio che mi ha raccontato un patriarca cristiano nei giorni scorsi. “Ho incontrato il primo ministro di un Paese europeo”, dice, “il quale mi ha ovviamente chiesto della situazione in Siria. Abbiamo parlato, gli ho detto che dovremmo arrivare a libere elezioni sotto il controllo dell’Onu. E lui mi ha risposto: e se rieleggono Assad? Sarebbe un bel guaio. Al che io ho ribattuto: ma non è proprio questo, la democrazia?”.

Perché in effetti andrebbe così: se si votasse in Siria, vincerebbe Assad. Per mancanza di vere alternative, per stanchezza, quel che volete, ma vincerebbe lui. A noi non piace ammettere che certi “uomini forti” o autocrati o dittatori, chiamiamoli come ci fa comodo tanto fa lo stesso, godano anche di un appoggio popolare (vedi per esempio Putin), ma questo è un problema nostro. In ogni caso, quell’esito sarebbe inaccettabile, anzi disastroso, per gli Usa, per l’Europa, per l’Arabia Saudita e pure per Israele. Ma altrettanto inaccettabile sarebbe, per i siriani, farsi dire dall’estero chi devono o non devono votare. Lo stallo si risolverebbe se Assad stesso decidesse di lasciare. Ma perché dovrebbe farlo? Temo quindi che per una pace vera dovremo aspettare ancora a lungo.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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