La Grecia è formalmente la prima post democrazia europea

07 Settembre 2022 11:00 Antonio Di Siena

Lunedì all’università di Atene ha fatto la sua comparsa la polizia universitaria. Giovani agenti in uniforme e cappelli verdi sono apparsi all'ingresso del campus accompagnati, ovviamente, dai MAT, l’onnipresente polizia antisommossa.

Formalmente il Team di Protezione delle Istituzioni Universitarie (ΟΠΠΙ) istituito dal governo Mitsotakis avrà il compito di pattugliare gli atenei ellenici e intervenire ovunque si verifichino problemi di delinquenza.

Difficile non pensare però ai dieci anni di devastante crisi economica che hanno visto gli studenti greci in prima linea nella lotta contro l’austerità.

Certo, da quelle parti alcune prestigiose realtà accademiche (Politecnico in primis) sono da decenni in preda al degrado più totale e non solo a causa dei tagli alla spesa pubblica. Ma qui ci sarebbe da fare un discorso a parte su molti movimenti della sinistra greca (e non solo) e la loro avversione all’ordine, al decoro, al sacrale rispetto dei luoghi pubblici. Ma questo sembra francamente un pretesto bello e buono.

La verità è che i governi liberisti e filo-europei hanno sempre più paura. Le macerie del loro modello di sviluppo sono diventate troppo ingombranti e sotto il tappeto non c’è più spazio. Monopolizzare i media, bombardare i cittadini con la martellante propaganda, stuprare i programmi scolastici per allevare automi non pensanti forse non basta più. È il momento di un ulteriore, violentissimo giro di vite e presidiare armi in pugno i pochi luoghi in cui è ancora possibile la nascita e il consolidamento di un pensiero politico antisistema. Le università sono ovviamente l’obiettivo numero uno. Soprattutto in un paese come la Grecia che ha già dimostrato più volte di avere un movimento studentesco solido e ampio in grado di opporsi ai colonnelli prima e alla Troika poi.
Una deriva scontata, almeno agli occhi di chi da anni vede arretrare sempre di più la linea dello Stato di diritto in nome del libero mercato e intrappolare i popoli europei in una prigione sempre più stretta.

Fino al decennio scorso, quando i consumi erano ancora possibili se pur a costo di qualche sacrificio, le sbarre della gabbia restavano invisibili a molti. Poi è arrivata la crisi ed è iniziata la discesa. Per alcuni, come i greci, è stata drammatica, ripida e velocissima. Per altri, come gli italiani, lenta ma costante.
Con la guerra l’accelerazione sarà supersonica per tutti. E la cura da cavallo somministrata ai greci, prime cavie da laboratorio del processo di costruzione europea, diventerà profilassi universale. Almeno in questa parte di mondo.

Il tempo del benessere effimero è definitivamente svanito, l’era dell’abbondanza è terminata, ma il sistema va tenuto in piedi lo stesso. E se finiscono gli zuccherini si tira fuori inevitabilmente il manganello. Brandito come una spada Santa a difesa di una “democrazia” che ha fatto di sfruttamento del lavoro, demonizzazione del pensiero critico e iper-pervasività del controllo i suoi valori fondanti.

C’era una volta l’Europa, culla di una civiltà fondata su sapere e conoscenza. Non è rimasto più nulla. Solo un enorme spazio su cui costruire un gigantesco ipermercato. Anche se a vedere l’andazzo rischia di restare con gli scaffali miseramente vuoti.

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