Centro mondiale commerciale, nuova scoperta sulle responsabilità israeliane nell'assassinio di JFK



di Michele Metta


Già altre due volte nella mia ricerca della verità sull’assassinio di JFK ho avuto il piacere d’incrociare il mio cammino con quello d’altri studiosi. È accaduto con lo statunitense Jim DiEugenio, stimatissimo autore, da cui ho avuto l’onore di vedermi elogiato ed incoraggiato. È accaduto con il tenace canadese John Kowalski, che m’ha reso possibile raffrontare i miei documenti con una serie di dati collimanti appunto provenienti dall’Archivio Centrale del Canada. Accade di nuovo ora, con un’altra brava ricercatrice USA: Linda Minor. Linda s’è infatti assai intelligentemente accorta d’un elemento troppe volte non adeguatamente dibattuto del complotto contro John Kennedy, e riguardante il luogo da cui Lee Oswald, il capro espiatorio di Dallas, è stato, pur in presenza di prove contrarie, accusato d’aver sparato il 22 novembre 1963. Raffrontando lanci d’agenzia della United Press ed altro materiale ancora, Linda ha sottolineato, cioè, quanto emerge scavando su David Harold Byrd: il proprietario dell’edificio che occupa il 411 di Elm Street e da Byrd concesso in affitto alla Texas Books Depository, la Società di libri che aveva assunto Oswald. Byrd era un magnate ultraconservatore, amico di nemici giurati di JFK come il generale Curtis LeMay ed il petroliere H. L. Hunt. Byrd, come Hunt, era ricco per via di propri possedimenti di petrolio ma, a differenza d’Hunt, anche d’uranio. Tuttavia, il controllo azionario del suo impero, e cioè la Byrd Oil ricomprendente la Byrd Uranium, era poi nel 1956 passato – s’accorge Linda – nelle mani di A. M. Abernethy, che infatti ne diviene presidente, mentre Byrd permane come Board chairman, così come invariato resta il nome di Byrd Oil. Ebbene, a monte d’Abernethy c’è un ebreo parecchio importante: Arie Ben-Tovim, già Console d’Israele a Montreal nel biennio 1949-50, e poi a New York nel biennio 1951-52. Qui, Linda s’era fermata. Un arrestarsi obbligato, visto che, a differenza mia, non ha le carte esclusive del Centro Mondiale Commerciale da me viceversa possedute. Carte che svelano quanto segue: anche Arie Ben-Tovim era un membro del CMC. Già.

Questa è una rivelazione d’enorme rilievo, perché, naturalmente, conferma una volta di più i legami tra Israele e CMC. Ma lo diviene ulteriormente al metterla accanto a quanto da me già rivelato in un altro mio articolo di questa mia inchiesta sul CMC che sto pubblicando per L’AntiDiplomatico: il Carcano con cui Oswald è additato d’aver fatto fuoco, ha una storia assai singolare ed illuminante poiché, quando andiamo a ricostruirla grazie al suo numero di serie, vien innanzitutto fuori il suo esser inclusa in una partita di residuati bellici della II guerra mondiale. Residuati dell’Esercito fascista, e finiti in tale stock d’armi ricondizionate grazie ad un appalto che appunto s’aggiudica una ditta statunitense: la Adam. Appalto indetto dal nostro Ministero della Difesa; appalto del 1960. E chi è mai, nell’anno 1960, il titolare di questo dicastero? Proprio il Giulio Andreotti da molte fonti indicato come fiancheggiatore estremo di Licio Gelli, se non addirittura capo occulto, a fianco di Gelli, di quella P2 per moltissimi versi indistinguibile dal CMC. Adam che, per smerciare negli USA il carico d’armi ricomprendente il Carcano, si serve della Crescent Firearms, il cui factotum è l’ucraino Joseph Saik: un fervente anticomunista il quale, contemporaneamente, è pure vicepresidente dell’Adam. Saik, inoltre e soprattutto, appartenente durante l’ultimo Conflitto mondiale al Quartier generale statunitense in Francia guidato da Eisenhower, il quale Eisenhower aveva tra i propri più stretti collaboratori in quel frangente il generale Charles Thrasher. Coincidenza, è l’identico Charles Thrasher il cui Assistente in campo era il membro del CMC Shaw, come ammesso da Shaw stesso in un’intervista del novembre 1969 al mensile Penthouse. Il Clay Shaw, cioè, indagato nel 1967 dal Jim Garrison Procuratore distrettuale di New Orleans proprio per le prove che lo collegano all’omicidio Kennedy. Non solo: la Adam significa Samuel Cummings. Ebbene: com’è possibile verificare attraverso un documento dell’Intelligence italiana, si dà il caso si tratti del medesimo Cummings fiduciario d’Enrico Frittoli. E chi è, a sua volta, Frittoli? Come mostra un altro documento dell’Intelligence italiana, è un sodale stretto di Gelli.

Questo, anche perché, contrariamente a quel che c’è in un esteso immaginario collettivo, il 411 di Elm Street non era sede da sempre della TSBD. Al contrario: fino al termine del 1961, lì c’era una ditta di genere alimentari. Poi, l’affitto a tale ditta non era stato rinnovato, la ditta era andata via, e prima dell’arrivo della TSBD l’edificio era rimasto deserto per lungo tempo. Deserto come un palcoscenico pronto ad allestire una messinscena atroce, che facendo deviare inopinatamente l’auto di JFK da Main Street – che, guarda caso, significa proprio via diretta, principale – portò Kennedy in Elm Street, in tal modo collocandolo in Dealey Plaza sotto il tiro incrociato, e ormai pressoché a veicolo fermo, da parte di cecchini le cui colpe sarebbero state poi addossate a Lee Oswald. Deviazione – attenzione – sopraggiunta all’ultimo momento, perché il percorso originario prevedeva che la svolta su Elm Street non ci fosse, e l’auto proseguisse così tranquillamente sull’assolutamente più sicura Main Street. Dealey Plaza che ha quel nome perché intitolata a George Dealey, l’editore del Dallas Morning News. George Dealey il figlio e successore Ted, nel 1961, essendo tra gli editori di giornali invitati da JFK alla Casa Bianca, aveva vilmente sfruttato l’occasione per, alzatosi appositamente in piedi, profferire a Kennedy le seguenti parole: “Sig. Presidente, abbiamo bisogno d’un condottiero a cavallo per guidare questa nazione, ma molte persone in Texas e nel Sud-Ovest pensano che tutto quel che lei è buono a cavalcare sia il triciclo di [sua figlia] Caroline”. Il fatto è che fu proprio sul Dallas Morning News, e proprio in occasione della fatale visita nella Capitale del Texas da parte di John Kennedy, che fu pubblicato un annuncio, contenente dodici domande, una più tendenziosa dell’altra, ed incorniciate da un bordo nero-lutto a mo’ di messaggio funebre. Domande tese a dipingere JFK come un criptocomunista nemmeno troppo criptico. Ebbene, dietro questo minaccioso e più che macabro annuncio, si scoprirà poi la mano di Nelson B. Hunt; che è il figlio dello H. L. Hunt sodale di Byrd. Il Byrd che poi in definitiva cede il proprio uranio nelle mani d’un socio israeliano del CMC: Arie Ben-Tovim. Questo, proprio nel mentre JFK s’opponeva con decisione alla proliferazione nucleare d’Israele.

Occorre, a questo punto, invocare con forza l’istituzione d’una Commissione d’inchiesta. E non sto parlando d’una Commissione parlamentare italiana, ché una in gestazione e poi per fortuna fallita l’ho ben conosciuta dall’interno, e ne son fuggito via stomacato per il concentrato d’egoismi ed accoltellamenti alle spalle che vi circolava, cosa che m’ha ribadito, ove mai ve ne fosse stato bisogno, quanto purtroppo intensamente vera sia la frase pasoliniana che recita “Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”. No: sto parlando d’una Commissione d’inchiesta internazionale, seria, che riapra ufficialmente l’indagine sull’assassinio di JFK, e non esiti a porre alla sbarra finalmente anche gl’israeliani nemici d’Israele. Perché questo occorre dire con forza: lo Stato d’Israele ha gettato le proprie fondamenta affidandone la costruzione a nemici del proprio stesso popolo. Nemici che hanno rinnegato il rispetto dovuto ai milioni d’Ebrei morti nell’Olocausto e, anzi, nascondendosi dietro quei morti così fatti morire una seconda volta, hanno, e stanno tuttora conducendo sotto Netanyahu, politiche di cui quei morti si vergognerebbero, compreso, assolutamente, l’aver preso parte al Centro Mondiale Commerciale.

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