Fulvio Scaglione: "Il Diavolo ad Aleppo ha le sembianze delle petro-monarchie sunnite e delle folli campagne 'democratiche'"

Fulvio Scaglione: "Il Diavolo ad Aleppo ha le sembianze delle petro-monarchie sunnite e delle folli campagne 'democratiche'"

L'AntiDiplomatico intervista il noto giornalista italiano di ritorno da Aleppo: "I "moderati" sono stati presi in mezzo e l'Occidente, alla fin fine, è riuscito solo ad assecondare gli obiettivi dei jihadisti". Sugli "ospedali" di Aleppo est. "Erano tutti situati in edifici dove i jihadisti avevano anche installato strutture militari e gli aleppini comuni non erano ammessi."

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di Alessandro Bianchi


Su Aleppo sono state spese milioni di parole, fiumi di editoriali, miriadi di "appelli" e un numero non identificabile di menzogne. Tutte rigorosamente da parte di giornalisti, attivisti e blogger che da migliaia di chilometri dalla Siria - e in particolare da New York, Doha o Tel Aviv - hanno cercato di influenzare l'opinione mondiale nella fase in cui l'esercito siriano ì, con l'aiuto della Russia e degli alleati regionali, intensificava l'operazione di liberazione della città dai jihadisti che l'occupavano da anni. Oggi la città è liberata, anche se in Siria la guerra per procura contro il terrorismo resta tutt'altro che finita. Come AntiDiplomatico, abbiamo raccolto la testimonianza diretta di Fulvio Scaglione, ex vice-direttore di Famiglia Cristiana e uno dei più stimati inviati negli scenari di guerra del nostro paese, di ritorno dalla martoriata città siriana dove ha realizzato una serie di fondamentali reportage per Linkiesta, Avvenire e Occhidellaguerra.

L'INTERVISTA
 

E' appena tornato da Aleppo. Qual è stata la prima sensazione avuta arrivando nella martoriata città siriana?

Offro una risposta banale: che la situazione, sul campo, era molto più complessa dell'immagine manichea "bene contro male" proposta dai media. La stessa sensazione che provai a suo tempo in Cecenia, poi in Afghanistan, Iraq, Palestina, Gaza ecc. ecc.

 

Lei ha recentemente scritto un libro che ha avuto molta fortuna sull’Isis dal titolo “Il patto con il diavolo”. Ad Aleppo il diavolo che sembianze ha e chi ci è sceso a patti?

Ad Aleppo il diavolo ha le sembianze che mostra da decenni: il continuo lavorìo delle petro-monarchie sunnite per alimentare il fondamentalismo islamico incrociato (il lavorio, intendo) con le folli campagna per la "diffusione della democrazia" lanciate dall'Occidente. Il punto è sempre quello. E qualunque sofisma si possa elaborare, è un fatto che in Iraq, in Libia e in Siria oggi si vive peggio di prima, per quanto male prima si vivesse.

 

Quali sono le testimonianze più interessanti che ha riscontrato in città e sono in linea con quello che i giornali occidentali hanno raccontato fino ad oggi?

Ho raccolto le testimonianze di persone che hanno vissuto in Aleppo Est per tutti gli anni dell'occupazione di ribelli e jihadisti. E tutti i testimoni mi hanno fatto un quadro all'incrocio tra la Tortuga e la mafia: violenze (anche sulle donne), traffici, lotte per bande. Chi crede, o ha creduto, che Aleppo Est fosse sede di un nobile esperimento di democrazia diretta farebbe bene a ricredersi.
 

Si può parlare secondo lei ancora di “ribelli moderati”?

Io credo che si possa parlare di "ribelli moderati", perché non si può negare che esistesse ed esista un movimento di contestazione al governo di Bashar al-Assad. Bisogna però aggiungere un paio di considerazioni. La prima è che, relativamente presto, i "moderati" hanno cessato di essere un fattore decisivo sul campo di battaglia. Anche ad Aleppo Est sono stati soprattutto quelli di Al Nusra a reggere lo scontro. In altre parole, se si fosse trattato solo dei "ribelli moderati", Assad e i russi avrebbero ottenuto bel altri risultati, come peraltro i casi di Palmira e Deir Ezzor tuttora dimostrano. Seconda considerazione: pochi o tanti che fossero, i "ribelli moderati" sono i primi sconfitti di questa guerra. Isis e jihadisti vari volevano distruggere la Siria, farla sparire come Stato unitario, e in una certa misura ci sono riusciti. Assad e i russi volevano, al contrario, salvare una "Siria di Assad" e anche loro, in una certa misura, hanno ottenuto lo scopo. I "moderati" sono stati presi in mezzo e l'Occidente, alla fin fine, è riuscito solo ad assecondare gli obiettivi dei jihadisti.

 

La retorica con cui si è voluta raccontare la guerra in Siria dalle nostre parti è stata quella di una rivoluzione popolare contro un dittatore che ha massacrato la sua popolazione con l’aiuto dell'intervento russo. Da quello che ha potuto percepire, quali sono i sentimenti della popolazione siriana verso il presidente Assad e quella verso i militari russi presenti nel paese?

Il fallimento della politica occidentale si vede anche da questo. Per paradosso, Assad è forse più popolare adesso di prima della guerra. Per quanto prima ci fosse dell'insoddisfazione, molti siriani (cristiani, alawiti e sunniti) ora lo paragonano ai jihadisti, e paragonano il modo in cui si viveva prima con quello con cui vivono quelli presi in trappola a Palmira o ad Aleppo Est. E non hanno dubbi su quale sia il male minore. E i russi sono percepiti come quelli che hanno evitato il collasso finale del Paese, come gli alleati fedeli che non si sono tirati indietro. Dopo di che, inutile negare che molti hanno anche paura della polizia segreta e stanno molto attenti a ciò che dicono e a chi lo dicono. Ma in generale, è ovvio che la sensazione di un complotto internazionale per fare a pezzi la Siria e la crudeltà insensata mostrata dai jihadisti ovunque siano arrivati aiutino, e molto, la causa di Assad.

 

Ad Aleppo est secondo i media occidentali i jet russi bombardavano una media di un ospedale (spesso pediatrico) al giorno. Quanti ospedali bombardati ha potuto vedere lei?

Sugli ospedali di Aleppo Est, si è scritto molto e quasi sempre sulla base di racconti interessati e poco verificabili. Io posso dire questo. Ad Aleppo Est erano rimaste tre-quattro cliniche private senza medici (fuggiti a Ovest). Altri centri sanitari erano stati improvvisati dopo che ribelli e jihadisti avevano preso il controllo di quella parte di città. Per quel che ho potuto raccogliere come testimonianze e per quello che ho potuto vedere, tutti questi "ospedali" erano situati in edifici dove i jihadisti avevano anche installato strutture militari: postazioni missilistiche, nidi di mitragliatrici eccetera. Inoltre, le persone con cui ho parlato sostengono che in quegli "ospedali" gli aleppini comuni non venivano mai ammessi, essendo le cure riservate ai combattenti. Non so se tutto questo assolva la strategia scelta dall'esercito siriano e dai russi, cioè di togliere ai jihadisti, con i bombardamenti, i rifugi dietro cui si coprivano, quasi sempre edifici a uso civile e grandi condomini. Resta il fatto che ad Aleppo Est ho trovato la stessa situazione che, in altri tempi, ho trovato a Grozny, a Gaza, a Fallujah. Quando si combatte in una città affollata, quando una parte si fa scudo dei civili e l'altra non si fa intimidire da questo, il risultato è sempre lo stesso. Da questo punto di vista, e per quanto suoni cinico dirlo, ad Aleppo non è successo nulla di particolare.


Domanda a bruciapelo: Aleppo è stata liberata oppure "occupata, assediata o stuprata" come ci hanno descritto per mesi?

Per tutto quanto detto prima, liberata.

 

Infine, ha trovato segnali di speranza nel paese massacrato e in macerie dopo questi anni di guerra? E quale sarà il ruolo della Siria nel futuro del Medio Oriente?

In questo momento, ad Aleppo e in Siria, più che la speranza regna l'incertezza. Reggerà la tregua? Che accadrà a Palmira? E a Deir Ezzor? Non dimentichiamo che due quartieri di Damasco sono ancora nelle mani dei jihadisti,  che intorno ad Aleppo si spara e che sulla città ancor cadono missili. Però qualche segno di miglioramento c'è. Damasco è più tranquilla, di Aleppo si è detto... Il significato profondo di quanto è accaduto ad Aleppo è soprattutto politico: la Siria di Assad, che rischiava di essere cancellata, ci sarà ancora nel prossimo futuro. Forse ostaggio di Mosca e di Teheran, ma ci sarà e sarà un interlocutore di cui tener conto. Per molti siriani è come un sospiro di sollievo. Ma che Paese sarà? Quali saranno i suoi confini? Di che cosa vivrà la sua gente? Torneranno i milioni di siriani profughi in patria o all'estero? Per rispondere a queste domande bisognerà attendere la vera fine della guerra e l'inizio della ricostruzione. due momenti che sembrano, soprattutto se guardati da Aleppo, ancora lontani".

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