Il 9 Maggio della liberal-democratica “l’Europa”

1865
Il 9 Maggio della liberal-democratica “l’Europa”

di Fabrizio Poggi

E così, anche la junta ucraina si è unita al coro delle celebrazioni per la cosiddetta giornata de “l’Europa” che, dal 1985, ogni 9 di maggio, è votata a far calare il silenzio sull’autentico significato del 9 Maggio: il giorno in cui, nel 1945, la Germania nazista firmava a Berlino la definitiva capitolazione (dopo quella di Reims) di fronte ai rappresentanti della coalizione antinazista e, in principal modo, ai rappresentanti dell’Unione Sovietica, i cui popoli avevano sopportato il peso incommensurabilmente più alto dell’aggressione nazista e versato il contributo umano e materiale incomparabilmente più elevato a quella vittoria.

Non si tratta qui di rievocare le vicende legate alla storia delle celebrazioni del 9 Maggio, in URSS e nel campo socialista, o alla fine di quella ricorrenza, a eccezione della Russia. Non si tratta nemmeno di tornare sulla questione del perché, da un po’ di anni, nella stessa Russia, si sia preso a “profanare” la cerimonia della parata sulla piazza Rossa, coprendo il mausoleo di Lenin. Lasciamo ai comunisti russi la decisione sul modo di accostarsi a tale momento.

Si vorrebbe invece attirare l’attenzione su alcune considerazioni specifiche, riguardanti il legame tra il rifiuto liberal-europeista del 9 Maggio, quale vittoria sul nazismo e l’essenza stessa, storica e attuale, della “esaltazione” tutta ideologica de “l’Europa”.

Va da sé che, per i neonazisti insediati e insediatisi a Kiev, il 9 Maggio debba considerarsi giornata di disfatta e che dunque, nel solco dell’agognata “adesione a l’Europa”, si sbandierino le ceneri dei propri avi, komplizen del III Reich e sterminatori di popolazione sovietica (ma non solo) di ogni nazionalità dell’URSS: russi, ebrei, ucraini, bielorussi.

Così, il 9 maggio, mentre in varie città ucraine, molti semplici cittadini, sfidando le bestie naziste, portavano fiori alle tombe dei soldati sovietici caduti, a Kiev il capo del programma per la collaborazione Ucraina-UE, Stefan Schleuning, proclamava che «gli ucraini difendono noi, europei e UE, ogni giorno» - ovviamente: dal “tiranno” russo – e dunque “meritano” i miliardi che propiniamo loro in armi e munizioni, sottraendoli alle spese sociali dei lavoratori europei; mentre l’ambasciatrice UE Katarina Mathernova (scusate, ma in russo non suona esattamente come un francesismo) sempre a Kiev, faceva dondolare in faccia alla junta la carota dell’adesione alla UE per il 2030, pur con molti “se”.

Per quanto riguarda, invece, i vertici “istituzionali” e ufficiali di quella stessa “l’Europa”, il discorso sul 9 Maggio assume contorni forse anche più storici. Non stiamo qui a ricordare le varie occasioni, anche più recenti, in cui dalla vittoria sul nazismo è stato cancellato il nome di chi ha portato il maggior contributo: i lettori di questo giornale ricordano tutto perfettamente.

Basti solo dire che ormai non si cerca più nemmeno di nascondere la verità di come, a livello statale o di volontariato, molti di quei paesi che oggi compongono “l’Europa”, ottant’anni fa avessero preso parte alla spinta nazista “nach Osten” e all’aggressione all’Unione Sovietica. 

Per parte nostra, non condividiamo le affermazioni, di stampo nazionalista, secondo cui il punto di incontro tra complicità col nazismo, in passato, e aperte smanie guerrafondaie odierne da parte de “l’Europa”, sia rappresentato da una perenne russofobia, indipendentemente dagli ordinamenti sociali succedutisi a est (grosso modo) del fiume Bug. Essa esiste e agisce, ma non è sufficiente a spiegare il contenuto squisitamente classista che aveva convinto, allora (e anche prima: fin dall’aggressione del 1918 alla giovane Russia sovietica) i “liberali” euro-americani a spingere la macchina da guerra nazista contro il primo stato di dittatura del proletariato; mentre oggi non esaurisce il panorama delle contraddizioni – che stanno assumendo forme mortali – tra segmenti e gruppi di capitali mondiali, né tantomeno gli intrecci attuali e reali tra formazioni oligarchiche che, dietro lo scudo della contrapposizione nazionale, continuano tranquillamente a collaborare a spese di lavoratori e masse popolari di paesi ufficialmente in conflitto.

Certamente, possono venir presi in considerazione vari passaggi della storia nazista - con le blasfemie himmleriane sulla “nuova Europa postnazista” - e vi si possono anche intravedere prodromi del postbellico “progetto europeo”, coi relativi Consiglio d’Europa, NATO, UE, ecc. Ma, ancora una volta, rimangono pressoché oscurate le radici di classe di simili manovre e dei rivolgimenti che ne hanno precedute altre: ad esempio, sul versante opposto, la visione, oggi via via occhieggiante in Russia, sull’abbattimento del governo provvisorio borghese in Russia nel febbraio 1917, da parte delle forze guidate dal partito bolscevico, come «rovesciamento del nazional-traditore Governo provvisorio dei distruttori e usurpatori dell’Impero» zarista (Vladimir Pavlenko, ag. REX).

Certo, tutto ciò nulla toglie alle ormai più che riconosciute manovre anglo-americane (e, in discreta misura, anche americane anti-britanniche) che, sin dalla fine degli anni ‘20, dovevano portare a far scontrare direttamente la Germania, ancora weimariana e poi nazista, con l’Unione Sovietica, quale tentativo di soluzione della crisi che attanagliava il mondo capitalista. Manovre continuate per quasi tutti gli anni ‘30, da parte britannica e, in particolare, del cosiddetto “Cliveden set”, Lady Astor e Neville Chamberlain, di aperta avversione all’URSS e vergognose simpatie naziste che, tra il 1936 e il 1938, portarono a sacrificare alle mire fasciste e naziste Spagna, Austria, Cecoslovacchia e quindi, nel 1939, determinarono il vergognoso sabotaggio anglo-francese dei colloqui con Mosca in funzione anti-hitleriana.

 Ma, anche qui, se non si mette in primo piano il contenuto classista di quelle manovre, si rischia di rimanere alla superficie degli eventi storici.

Una superficie la cui semplice osservazione ci ricorda, come opportunamente nota Georgij Lucnikov su Ukraina.ru – e con ciò torniamo alla questione del 9 Maggio e del neonazismo della junta ucraina – quanto Londra, ufficialmente alleata dell’URSS nella coalizione anti-hitleriana, avesse a suo tempo brigato per mettere al sicuro i komplizen ucraini delle SS: in particolare, gli ex adepti della divisione “Galicina”. Sono da tempo alla portata di chiunque voglia informarsi, i famigerati piani inglesi e yankee degli anni ‘50 - “Unthinkable” di Winston Churchill e poi “Totality” americano – volti a colpire l’URSS a guerra mondiale da poco conclusa. In particolare, nei piani inglesi, una parte non secondaria doveva esser svolta proprio dalle ex SS tedesche e dai loro collaborazionisti ucraini, gran parte dei quali, alla fine della guerra, erano venuti a trovarsi in prigionia in Italia, a Rimini, da cui vennero quindi evacuati in Gran Bretagna, dopo esser stati sottoposti a un appropriato lavorio “politico-rieducativo”.

Ovviamente, questo riguarda solo una parte dei “profughi” ucraini, in cerca della “libertà” verso Occidente; anzi, come sappiamo, la parte forse di gran lunga maggioritaria – anche per un certo tipo di tradizione – aveva preso la via del Canada: la vicenda dell’ex nazista ucraino delle Waffen SS, Jaroslav Hunka, omaggiato al parlamento canadese nel settembre dello scorso anno, è emblematica.

Ma, in generale, si può dire che, per la moderna “l’Europa”, quello che settant’anni fa era stato lo “spettro del 9 Maggio” non sia mai svanito, tanto che in certe beceraggini “giornalistiche” assume addirittura le forme di un «esercito russo sovietico» contro cui, nel 2024, la “democratica” UE dovrebbe armarsi in difesa dei “valori europeisti e occidentali”. Quei “valori” in base ai quali, il 9 Maggio 2024 (riportiamo dalla “satanica” fonte della russa RT) a Berlino, dieci persone sono state fermate per aver intonato brani dell’epoca della guerra, con l’aggravante di portare il nastro di san Giorgio; valori per cui, in Finlandia, sempre il 9 Maggio, sono stati imbrattati di vernice monumenti ai soldati sovietici.

Quei “valori” per cui la fantomatica “l’Europa” pretende di equiparare Germania nazista e Unione Sovietica nello scatenamento della Seconda guerra mondiale, con l’aggravante, imputata alla seconda, di aver «tenuto sottomessa l’Europa orientale alla dittatura comunista» ben oltre la fine della guerra. Questa è “l’Europa” che, per sua stessa natura, non può liberarsi dello spettro di una “coalizione di volenterosi” scagnozzi filo-hitleriani, sconfitti ottant’anni fa dalla forza del socialismo.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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