La popolazione di Kovel' si ribella alla mobilitazione forzata di Zelensky (nel silenzio dei media)

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La popolazione di Kovel' si ribella alla mobilitazione forzata di Zelensky (nel silenzio dei media)


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

La protesta di massa scoppiata nei giorni scorsi a Kovel', nella regione nordoccidentale della Volinia, costituisce un salto di qualità nella resistenza alla mobilitazione forzata in Ucraina.

Certo, non accennano a diminuire i tentativi individuali di sottrarsi all'arruolamento, da parte di giovani e meno giovani accalappiati nelle strade e spediti al fronte con addestramento minimo o quasi nullo. Anzi. Lo stesso nazigolpista capo, Vladimir Zelenskij, ha parlato di recente di circa cento persone che, quotidianamente, fuggono o tentano di fuggire dal paese per sottrarsi alla mobilitazione. Ma uno dei suoi principali ex consiglieri, Aleksej Arestovic, ha parlato di una cifra di trenta volte superiore: come se ogni giorno cercassero di sottrarsi al fronte cinque Brigate. E si tenta in ogni modo di fermare il flusso: agguati tesi dagli arruolatori dei distretti, polizia, droni, termovisori, fucilate alla schiena e cani addestrati a bloccare i fuggitivi.

Ma la protesta di Kovel', si diceva, ha coinvolto non solo i diretti interessati, o i loro più prossimi parenti, nel tentativo di sottrarre tre coscritti alle tenaglie dei cosiddetti Centri territoriali di completamento, bensì buona parte della popolazione della cittadina; tanto che, alla fine i tre sono stati liberati.

Dei disordini in città sono stati accusati ovviamente i servizi russi; ma ciò non toglie che, in base alle stesse dichiarazioni rilasciate al Financial Times dal presidente della Commissione sviluppo della Rada, Dmitrij Natalukha, siano oltre 800.000 gli uomini che, al momento, si stanno sottraendo alla mobilitazione in Ucraina: continuano a lavorare riscuotendo lo stipendio in contanti per non lasciar tracce e semplicemente cambiando residenza. E, a dispetto delle grida sul “patriottismo” delle regioni occidentali, nemmeno toccate in misura massiccia – al contrario del sudest del paese – dalle repressioni post-2014, è proprio qui che si registra il maggior numero di renitenti. A maggior ragione, le proteste di Kovel' costituiscono un segnale d'allarme per Kiev. Significativo, nota su Vzgljad la politologa Larisa Šesler, che gran parte degli uomini rimasti nelle regioni di Volinia e Galizia, non siano riusciti a emigrare in Polonia o Germania solo per mancanza di agganci con le guardie di frontiera o di somme sufficienti alle bustarelle pretese: «essi si sentono traditi dal governo e ciò alimenta gli umori di protesta».

Per cercare di placare la tensione, i media tacciono sulle proteste di Kovel' e «si cerca anche di ridurre la consistenza della mobilitazione nelle regioni occidentali, compensandola da altre regioni, come Odessa, Nikolaev, Zaporož'e, Dnepropetrovsk, dove la resistenza della popolazione è più debole, a causa di anni di repressione... ma tutto va volgendo verso un'esplosione sociale su larga scala», afferma Šesler.

In ogni caso, che Kiev sia sempre più a corto di uomini non lo si nega nemmeno a livello ufficiale. «È necessario accordarsi, poiché le nostre perdite sono enormi», dice un ufficiale al canale francese LCI. «La Russia avanza, infliggendo perdite inverosimili» a Kiev, dice Scott Ritter, citato da RIA Novosti. «Gli ucraini si stanno scontrando con problemi diversi: stanchezza dei reparti, perdite elevate tra il personale qualificato... carenza di munizioni e di equipaggiamento», afferma al Tagesspiegel l'esperto militare Gustav Gressel. Si parla di una cifra di perdite (militari morti) che si avvicina a una soglia psicologica critica: mezzo milione.

Zelenskij parla di 31.000 morti; ma, se fosse così, perché ogni mese vengono inviate al fronte trentamila nuove reclute? Secondo calcoli approssimativi, citati da Vladimir Družinin su Odna Rodina, i soldati ucraini messi fuori combattimento - morti e feriti – si aggirerebbe su quasi 30.000 al mese: più o meno tanti quanti ne vengono inviati al fronte dopo essere stati accalappiati dagli arruolatori.

I quali ultimi si fanno forti delle “statistiche” majdaniste, secondo cui il 58% degli ucraini non solo sostengono la mobilitazione così come viene condotta oggi, ma vorrebbero un suo inasprimento, a fronte di un 35% di contrari. Il “favore” al reclutamento è così “convinto” che praticamente – lo affermano quelle “statistiche” – in tutte le classi di età degli intervistati, un buon 50% ne chiede l'inasprimento.

È così che tra gli intervistati di età 26-35 anni (50% a favore e 45% contrari), che poi sono coloro che per primi rischiano di essere spediti al fronte, a sentire il “sondaggio”, la metà di essi sembra non sognare altro! Nella fascia 36-45 anni, il 48% sarebbe favorevole all'inasprimento della mobilitazione, contro il 44%. Da record le fasce 46-59 anni (60% a favore) e ultrasessantenni: il 72% chiederebbe una mobilitazione più severa!

E allora, a dar credito a tali “sondaggi”, non si capisce come mai i distretti militari e la polizia debbano inseguire per le strade e nei boschi coloro che così gagliardamente “aspirano ad andare in trincea”! Come mai a Kiev, Odessa, Sumy, Khar'kov, Nikolaev si dia regolarmente fuoco ai veicoli dei distretti e dell'esercito, secondo una pratica messa in piedi dal movimento "Sumshchyna contro", già trasformatosi in  "Ucraina contro".

Impetuosità di certe “statistiche” che, secondo i comandi majdanisti, «dirittamente vanno sempre alle cose donde s'ha più gola» (Boccaccio)

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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