Mar Baltico: crescono sempre di più i timori di uno scontro aperto NATO-Russia

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Mar Baltico: crescono sempre di più i timori di uno scontro aperto NATO-Russia


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Prendono sempre più vigore  le voci su possibili azioni piratesche UE-NATO nel mar Baltico ai danni della cosiddetta “flotta ombra” che trasporta petrolio russo. Qualcuno giunge persino a dichiarare che, a breve, la NATO potrebbe a dar vita a un vero e proprio “casus belli” per risolvere la questione alla maniera yankee, eliminando cioè materialmente le petroliere che, attraverso il Baltico, portano nel mondo il petrolio russo. La dichiarazione in merito è dell'ex vice premier russo Alfred Kokh (per la cronaca: acquartierato in Germania e classificato in Russia quale “agente straniero”), che l'ha rilasciata al telegiornalista Evgenij Kiselëv (pure “agente straniero”). A parere di Kokh, in Occidente si è saggiato a lungo il terreno e, alla fine, «credo che abbiano toccato un nervo scoperto. Hanno sondato a lungo, fissando dei tetti al prezzo e così via, che però sono stati aggirati dai russi. Allora, hanno capito che la cosa principale è quella di agire meccanicamente: chiudendo cioè le esportazioni russe. E questo sta bene anche all'Arabia Saudita, dato che, così, eliminati dal mercato grossi volumi, possa sostituirli con la propria produzione, senza abbassare i prezzi. «Semplicemente: il profitto che otteneva Putin, lo otterrà l'Arabia Saudita. E il petrolio russo dovrebbe essere meccanicamente chiuso. Ora anche gli Stretti danesi cominciano a muoversi, una petroliera è saltata in aria a Ust-Luga e si è incagliata», si rallegra Kokh.

Allo “straniero” non va giù, però, che i danesi si stiano comportando «troppo timidamente» e spera piuttosto nella risolutezza di Recep Erdogan, nel caso in cui l'Occidente decida di chiudere al transito russo anche gli stretti del mar Nero.

Di contro, il direttore del Fondo nazionale per la sicurezza energetica, Konstantin Simonov, ha dichiarato a radio “Govorit Moskva” che i Paesi occidentali stanno «chiudendo gli avvocati nelle biblioteche» perché studino la Convenzione ONU del 1982 sul diritto marittimo alla ricerca di appigli che consentano di “legalizzare” il sequestro delle “petroliere ombra”.

Con avvocati che sappiano destreggiarsi, dice Simonov, possono sempre trovare qualcosa cui aggrapparsi, per esempio col pretesto dell'ecologia o dello spionaggio. Possono chiedere l'accesso a bordo di uomini dei Servizi, dato che è previsto dalla Convenzione, anche se, però, rimane l'interrogativo su come potrebbero dimostrare la validità delle “informazioni”, di cui dicono di essere in possesso, sul fatto che a bordo della data nave ci siano delle spie.

Ma non sembra che, in questi casi, nelle cancellerie UE si guardi così tanto alla forma. Per dire: quantunque la recente esplosione a bordo del “Koala” si sia verificata nel porto russo di Ust-Luga, i finlandesi non si siano fatti scrupoli a istituire una commissione d'indagine sul fatto. Per non parlare del modo piratesco con cui hanno trattenuto la petroliera “Eagle S”, battente bandiera delle Isole Cook, praticamente sotto minaccia delle armi. Non essendo riusciti a provare il coinvolgimento della petroliera nel danneggiamento dei cavi sottomarini tra Finlandia e Estonia, Helsinki ha allora mosso l'accusa di trasporto di merci non autorizzate in acque territoriali finlandesi. Il lato piratesco della storia è che la nave, che teneva una rotta diversa, è stata dirottata in acque finlandesi dalla guardia costiera e là la dogana finlandese si è appropriata di tutto il suo carico.

Nell'intervista a “Govorit Moskva”, Simonov si è detto indignato per il «misterioso silenzio» del Ministero degli esteri russo sulla questione e per il suo tentativo di reindirizzare alla Nuova Zelanda – da cui dipendono le Isole Cook - i problemi della nave, che trasportava prodotti petroliferi russi. «Non capisco perché non diciamo apertamente come reagiremo se inizia un fermo in massa delle navi. Affondiamo la nave che ha effettuato il fermo? Non sono un “falco”, ma mi sembra che questa situazione richieda una dichiarazione pubblica preventiva. Stanno apertamente trasformando il Baltico in un'area militarizzata, vi conducono in permanenza esercitazioni; la Polonia dichiara che il Baltico è il mare interno della NATO e che l'Alleanza dovrebbe catturare e controllare chiunque. Cos'è, aspettiamo che inizi davvero tutto questo?».

A sua volta, il direttore per l'energia dell'Istituto per energia e finanze, Aleksej Gromov, ritiene che l'interruzione o addirittura la creazione di ostacoli significativi alle forniture di petrolio russo potrebbe diventare un casus belli tra Russia e NATO.

Il polititologo Jurij Barancik ricorda come il sabotaggio di navi e battelli russi nel Baltico sia già diventato una tendenza.

Nell'ottobre 2024, un incidente ha coinvolto il dragamine della Flotta del Baltico “Alexandr Obukhov”, il cui motore è rimasto gravemente danneggiato dall'acqua entrata da un foro praticato non si sa bene da chi; prima ancora, era scoppiato un incendio a bordo della motovedetta lanciamissili “Serpukhov”, a Kaliningrad.

Gli attacchi nemici alla flotta delle petroliere hanno una loro logica, afferma Barancik: «più ci sono problemi con le petroliere, più è difficile per noi organizzare l'esportazione di petrolio, più è alta la possibilità di disastri ecologici, più pretesti per la NATO per bloccare completamente il Baltico. E ciò, a sua volta, aumenta la probabilità di uno scontro diretto tra Russia e NATO che oggi, come ha detto il consigliere di Zelenskij, Mikhail Podoljak, è l'ultima speranza dell'Ucraina». Non a caso, è venuta a galla l'ipotesi di Kiev di servirsi di mine russe per provocare un incidente in mare e accusare la Russia.

E c'è chi non esclude che si arrivi davvero a uno scontro aperto già a breve scadenza. I tagliagole di UE e NATO stanno mettendo a punto sequestri-pirata di navi che trasportano petrolio russo e stanno studiando i possibili argomenti pseudo-legali da accampare. Stanno compiendo alcuni “passi di prova”, prima di procedere più apertamente. «Le aggressioni piratesche nel Baltico» afferma il politologo Sergej Markov, seguiranno la «stessa tattica dell'aggressione NATO in Ucraina: mille piccoli passi, nella speranza che la Russia non reagisca a ciascuno di questi piccoli passi: questo si chiama “far bollire la rana russa a fuoco lento”». La guerra nel Baltico, dice Markov «è alle porte d'Europa. I pazzi di Bruxelles, Stoccolma, Helsinki, Varsavia, Vilnius, Copenaghen, Londra sono pronti a scatenarla già nelle prossime settimane. Forse anche a giorni».

Ed è ancora Jurij Barancik a chiedersi come mai quegli stessi pazzi non abbiano ancora bloccato il Baltico alla Russia, ad esempio, con messe in scena dall'apparenza “elegante”. Se da qualche parte, in prossimità delle coste russe del Baltico (in modo che anche le conseguenze negative ricadano sulla Russia) si verificasse una massiccia fuoriuscita di olio combustibile, come accaduto in Crimea con le “Volgoneft 212” e “Volgoneft 239”, sarebbe chiaro a tutti che le petroliere sono una minaccia diretta per l'ecologia dei paesi vicini: in questo modo «il nemico potrà raggiungere i propri obiettivi e, senza alcun danno per la propria flotta, legittimare il blocco del Baltico». Viene da domandarsi, dice Barancik, perché finora non sia stato fatto, visto che l'idea è elementare. Forse perché, a ben guardare il blocco del Baltico si ripercuoterebbe immediatamente sui prezzi del petrolio e le principali vittime sarebbero Europa e USA: sì perché, osserva sarcasticamente Barancik, «forniamo prodotti petroliferi anche a loro, se qualcuno non lo sapesse. Ma Cina e India subirebbero disagi molto minori».

C'è anche da dire che se una nave russa venisse fatta esplodere, allora, per usare le parole di un classico (il film del 1966 “La prigioniera del Caucaso”; ndr), lo «dovrebbe fare qualcuno non del nostro rione», perché ci sarebbe sicuramente una reazione e sarebbe già un mezzo passo verso un conflitto vero e proprio Russia-NATO. Quindi, tali «performance non sono nell'interesse USA e di chi è orientato verso di loro. Sono però completamente in linea con gli interessi di Kiev, Paesi baltici, Polonia, Danimarca e Finlandia, che hanno bisogno di una guerra aperta come dell'aria.

Ne discende la “tiepidezza” dei passi finora mossi da quei pazzi di cui sopra, che si sono “limitati” a timidi fermi di petroliere e all'ipotesi di leggi sull'ambiente che permettano l'ispezionare delle petroliere a dir loro sospette.

Ma quanto più alte appaiono le possibilità di un qualche accordo tra Russia e Stati Uniti, dice Jurij Barancik, «tanto più nervosi e aggressivi diventeranno i sostenitori di un conflitto aperto tra Russia e NATO».

Non per nulla non cessiamo mai di definirli guerrafondai, affamatori delle masse e servi reazionari dei monopoli, i cui profitti sono legati a doppio filo proprio alla guerra.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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