“Orešnik” sull'Ucraina: ancora due giorni in cui «tutto è possibile»
Al vertice del ODKB di Astana, il presidente russo Vladimir Putin ha rilasciato una serie di dichiarazioni oltremodo serie, praticamente ruotanti, da un lato, attorno alle criminali sparate belliciste euro-atlantiche e a tutte le “linee rosse” oltrepassate da Washington e Bruxelles e, dall'altro alle potenzialità, non ancora mostrate per intero, dell'arma di risposta russa rappresentata da “Orešnik”.
Dichiarazioni già ampiamente riportate praticamente da tutti media e che suonano come una sorta di ultimo avvertimento a tutti quei delinquenti che, mirando alla guerra atomica, fingono un'altezzosa sicurezza nelle “magnifiche sorti” dei propri orticelli, di contro al “sicuro appassire” di tajgà e tundre boreali.
Accanto a precisazioni severe e puntuali, Putin ha “buttato là”, quasi en passant, una battuta, parafrasando, come ha detto lui stesso, un vecchio aneddoto d'epoca sovietica, riferito all'attendibilità delle previsioni meteorologiche, che suona più o meno come «oggi, nel corso della giornata, tutto è possibile». Una battuta, uno “scherzo”; ma uno di quegli scherzi che, a ben guardare, chiude nel modo più rigoroso possibile il cerchio delle altre più che serie dichiarazioni.
Aspettatevi di tutto, ha detto Putin; nessuno si senta al sicuro, a partire dalla marionetta nazigolpista che si crede invulnerabile nel bunker scavato a qualche decina di metri sotto terra a Kiev, fino ai suoi più lontani manovratori.
Dunque, “oggi, tutto è possibile”, ha detto ieri Vladimir Putin. Ieri è passato.
Ma, se qualcuno non avesse prestato particolare attenzione, ricordiamo che restano ancora due giorni – oggi 29 e domani 30 novembre – prima che venga riaperto lo spazio aereo sopra il poligono missilistico di Kapustin Jar, nella regione di Astrakhan, chiuso il 27 novembre con notifica ufficiale depositata da Mosca al NOTAM. Ricordiamo altresì che la chiusura di uno spazio aereo, solitamente, non preclude a semplici e giocose acrobazie areonautiche. E ricordiamo anche che il poligono di Kapustin Jar è lo stesso da cui una settimana fa era stato lanciato l'ormai “epico” missile balistico ipersonico “Orešnik”, che era andato a ridurre in cenere strutture terrene e diversi piani sotterranei della “JužMaš” o “Južnyj mašinostritel'nyj zavod”, come si chiamava in epoca sovietica.
Ieri, a Astana, mancava solo che Putin, continuando a parlare di “Orešnik”, aggiungesse – come in effetti ha aggiunto – che «il Ministero della difesa e lo Stato Maggiore stanno selezionando gli obiettivi da liquidare in territorio ucraino. Possono essere obiettivi militari, imprese dell'industria della difesa o centri decisionali a Kiev». Tutte le strutture realizzate in epoca sovietica, dato che, negli ultimi trent'anni di “indipendenza” post-sovietica, i diversi banderisti (sì, banderisti: mascherati con abiti e addobbi diversi; ma la provenienza è stata quella per tutti) dei vari regimi succedutisi a Kiev hanno pensato più che altro a racimolare mazzette per le proprie tasche, senza tirar su un solo mattone, così che allo SM russo conoscono al millimetro le coordinate da affidare alla corsa di “Orešnik”.
29 o 30 novembre, dunque; rimangono ancora due giorni. Forse a Mosca rinvieranno ancora la scelta del lancio sui bunker presidenziali e governativi della junta. Ma è difficile pensare che decidano di rinviare comunque la consegna, da qualche altra parte di territorio ucraino, di una seconda dose di “nocciole”, scaldate a 4.000 gradi.
FP