Prof. Rabil su National Interest: "Washington sta conducendo la sua politica estera con i paraocchi"

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La guerra ucraina non è solo un conflitto ad alta intensità nel quale si sta consumando lo scontro a rischio terza guerra mondiale tra Nato e Russia, ma rappresenta anche una variabile nuova immessa nell’ordine internazionale che si è imposto dopo la fine della Guerra Fredda, che poi tanto ordine non era, dal momento che il momentum unipolare Usa è stato caratterizzato, non certo a caso, da guerre continue, o senza fine, sia convenzionali che ibride (primavera araba e altro).

In realtà, la guerra ucraina è solo il focus attuale di uno scontro più ampio tra due prospettive globali, unipolarismo o multipolarismo. Ne scrive in maniera didascalica, e per questo particolarmente interessante, Robert G. Rabil, docente di scienze politiche alla Florida Atlantic University, sul National Interest. Riportiamo parte del suo articolo.

“L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha indubbiamente posto fine all’era post Guerra Fredda. Sebbene molti Paesi abbiano condannato l’invasione della Russia, la maggior parte di loro non ha sanzionato la Russia. In contrasto con la rappresentazione occidentale della crisi ucraina come un confronto tra democrazia e autoritarismo, questi Paesi ritengono che la crisi vada ben oltre il binomio democrazia-autoritarismo, colpendo potenzialmente la loro sicurezza nazionale, nonché la sostenibilità globale e la pace”.

I Paesi neutrali ritrovano la loro indipendenza

“L’insicurezza alimentare, lo sfollamento interno e i rifugiati, le minacce delle conseguenze della guerra e l’uso di armi non convenzionali mettono in pericolo i più vulnerabili di questi Paesi. Eppure la crisi ha rimodellato l’ordine internazionale e i riallineamenti globali offrendo agli stati l’opportunità di perseguire i propri interessi senza schierarsi con un campo politico”.

Questi Paesi ‘neutrali’ si muovono [nell’arena globale] come tante variabili geopolitiche guidate dal proprio interesse personale. Molti di questi sono amici o alleati degli Stati Uniti. Ma non sono né nemici né avversari di Russia e Cina a motivo della crisi ucraina o dei loro sistemi politici autoritari. Sono consapevoli che in un momento di competizione globale che li vede ritrovarsi con poche risorse non possono né sanzionare né andare contro la Russia, il paese più grande del mondo con la più grande quantità di risorse al mondo, né contro la Cina, il paese con la seconda economia più grande del mondo e il Paese con le più grande riserve di finanze estere al mondo”.

“Tuttavia, allo stesso tempo, non possono danneggiare il loro rapporto con gli Stati Uniti, il paese più potente e con la più grande economia del mondo. Di conseguenza, le loro politiche sono dettate dal proprio interesse nazionale, e si muovono liberi dal binario ideologico della Guerra Fredda. In altre parole, le loro politiche non si sovrappongono e non si sovrapporranno necessariamente a quelle degli Stati Uniti”.

“[…] Molti di questi Paesi hanno visto la fine dell’era post Guerra Fredda inaugurare una nuova era caratterizzata dal multipolarismo e dal multilateralismo. Hanno vissuto con disagio il momento del potere unipolare americano sin da quando ha invaso l’Iraq nel 2003. La crisi ucraina e le sue conseguenze sulla divisione del mondo, insieme alla percezione virtualmente universale che il potere americano sia in declino dopo le debacle subite in Iraq e Afghanistan, ha solo acuito la determinazione di questi Paesi nel cercare di frenare il potere globale americano sostenendo il multipolarismo e il multilateralismo”.


Gli Usa hanno i paraocchi

“[…] Oggi, Washington sta conducendo la sua politica estera con i paraocchi, ignorando intenzionalmente i segnali che mostrano che il suo potere globale è in lento ma costante declino. La crisi ucraina, arrivata all’indomani delle guerre in Iraq e in Afghanistan, ha di fatto rafforzato la visione di quasi tutto il mondo che vede il meglio maggiormente favorito dal multipolarismo e dal multilateralismo.

“Se si considera il mondo come fosse diviso in tre vaste aree, la crisi ucraina, alimentata dalla NATO, ha spostato il ‘campo neutrale’ sempre più vicino a Cina e Russia. Mentre Washington ha reso il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa una priorità fondamentale della politica estera, molti Paesi neutrali e la Cina hanno osservato il mondo più da vicino. Hanno visto l’aumento dei costi della guerra sia socio-economici che politici, militari ed energetici salire verso l’implosione globale”.

“Mentre la leadership dell’Occidente cerca giustizia contro Putin e la Russia, indipendentemente dall’opinione dei popoli, la leadership del mondo non occidentale cerca la pace. Il problema è che la giustizia non può mai essere raggiunta a scapito della pace. Questa è una lezione che Washington non ha mai imparato, dall’Iraq e fino all’Afghanistan: i piani per la punizione sono venuti prima; il piano per il giorno dopo è arrivato solo dopo, se mai è stato fatto. Di conseguenza, la pace [nel mondo] è stata pausa fugace”.

“In particolare, spingendo per la ricerca della giustizia indipendentemente dalle conseguenze, Washington sta aprendo la strada al proprio declino, incoraggiando il multipolarismo. A questo proposito, è plausibile che lo yuan diventi un’alternativa al dollaro USA in un mondo ‘multipolare’ nel giro di pochi anni, non decenni o secoli. Ciò infliggerà un duro colpo all’economia americana e alla posizione globale da cui Washington potrebbe non essere in grado di riprendersi”.

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