Un TTIP... con altri mezzi

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Nell'incontro a Washington della scorsa settimana, Ursula von der Leyen per poco non si è sciolta in lacrime, ringraziando Joe Biden per averci «aiutato moltissimo quando volevamo liberarci della nostra dipendenza dai combustibili fossili russi». Ad esempio, gli USA possono garantire (fin quando sarà loro vantaggioso) forniture di GNL all'Europa a un prezzo di circa 380 dollari per mille mc, con “contratti a lungo termine”; ma, prima dell'inizio della campagna UE (spinta da Washington) per l'abbandono delle risorse energetiche russe, il costo di mille mc di gas russo con “contratti a lungo termine” verso la Germania era di 220 dollari. Joe ci ha “aiutato moltissimo”.

L'ufficio federale tedesco di statistica informa che nel mese di gennaio le importazioni di petrolio dalla Russia verso la Germania si sono ridotte del 99,9% rispetto a gennaio 2022; vale a dire, in termini assoluti, tremilacinquecento tonnellate di greggio, rispetto ai 2,8 milioni di tonnellate di un anno fa. Berlino avrebbe sostituito il petrolio russo, aumentando del 44% le importazioni dalla Norvegia, del 42% dalla Gran Bretagna e del 34,6% dal Kazakhstan. Inoltre, i Paesi del G7, Ue e Australia hanno fissato a 60 dollari al barile il prezzo massimo del petrolio russo trasportato via mare da navi e territori sottoposti alla loro giurisdizione. Per i prodotti petroliferi, a seconda della categoria, il tetto è di 100 e 45 dollari al barile.

Ora, è vero che, ufficialmente, lo scorso dicembre è cominciato l'embargo sul petrolio russo trasportato via mare e, dal 5 febbraio, anche quello sui prodotti petroliferi. Ma è altrettanto vero che in pochi azzardano ipotesi su quanto petrolio russo arrivi, di fatto, e a chi, in barba alle statistiche ufficiali.

Fatto sta che, secondo il Servizio doganale russo, nel 2022 il fatturato commercio estero russo è cresciuto del 8,1% su base annua, raggiungendo la cifra di 850,5 miliardi di dollari. Il surplus commerciale ha raggiunto i 332 mld di $; i volumi delle esportazioni sono aumentati del 19,9%, fissandosi a 591,5 mld di $, mentre le importazioni sono diminuite del 11,7%, per un valore di 259 miliardi di dollari. I dati doganali si riferiscono a 71 tipi di merci e, nello specifico, nel 2022 la Russia avrebbe aumentato del 42,8% l'export di combustibili minerali, petrolio e derivati, sostanze bituminose, per un valore di 383,7 mld di $.

Ora, se è difficile al momento quantificare cosa significhi, in termini di maggior esborso per i paesi UE, la rinuncia a petrolio e derivati russi, ecco che, per il gas, qualche conto ce lo fornisce la Reuters.

La spesa UE per la crisi energetica tocca i 697 miliardi di euro (contando anche la Gran Bretagna, si arriva a 800 mld); per lo più,  i fondi vanno a sovvenzionare i prezzi al dettaglio di carburante ed elettricità. Oltre a questo, devono esser considerati i beni di persone fisiche e giuridiche straniere congelati dalla Russia, che un anno fa erano stimati in 300 miliardi di dollari; supponendo che la parte UE rappresenti la metà, cioè 150 mld, le perdite europee salgono a 847 miliardi di euro.

Per la Russia, non ci sono al momento stime ufficiali sulle perdite monetarie dirette per le sanzioni dall'inizio del conflitto in Ucraina; si sa però che sono congelati 36,4 mld di $, su un totale di 258 mld di riserve auree dalla Banca Centrale russa che dovevano essere congelati, oltre a 72,7 mld di $ di beni di persone fisiche e giuridiche russe congelati in UE, e 78 mld di asset di broker privati in Euroclear e Clearstream.

Ci sono poi le perdite (20,5 mld $) subite da esportatori russi di prodotti non energetici e non di materie prime, a causa delle restrizioni europee. Per quanto riguarda l'export di di materie prime e prodotti energetici, pare però che tutta una serie di industrie non abbia subito perdite, compensando in termini monetari la diminuzione di produzione/esportazione: gli esempi più chiari sono quelli di gas e fertilizzanti.

Così che, approssimativamente, la Russia avrebbe subito perdite per 207 miliardi di dollari, contro gli 847 della UE. Ma, nota Ivan Lizan su Ukraina.ru, tali calcoli sono abbastanza relativi: da un lato, verosimilmente la UE ridurrà i sussidi a popolazione e imprese; dall'altro, la Russia fa fronte a embarghi e tetti dei prezzi riorientando il proprio commercio. Per dire, rispetto al periodo precedente il 24 febbraio 2022, l'India ha aumentato di 16 volte le importazioni di petrolio russo, col risultato che gli scambi commerciali Mosca-Delhi hanno raggiunto i 39,8 mld di dollari.

E, comunque, come già detto, il commercio UE-Russia di petrolio e derivati è destinato a proseguire, pur “sotto traccia”: almeno 200 petroliere di “flotte ombra” trasportano petrolio russo; vari paesi africani acquistano benzina e diesel dalla Russia, rivendendoli all'Europa, mischiati ad altri carburanti. Così, nel solo mese di gennaio, il Marocco ha acquistato tre volte più diesel russo rispetto a l'intero scorso anno; la Tunisia, che nel 2021 non aveva praticamente acquistato prodotti petroliferi russi, a gennaio di quest'anno ne ha acquistato 2,8 milioni di barili. Storie simili con Egitto, Libia e Algeria.

Eurostat ha riassunto i risultati del primo anno di sanzioni: le importazioni europee di carbone dalla Russia (il confronto è col 2021) sono scese nel 2022 dal 45% al 22%, per il gas dal 36 al 21%, i fertilizzanti dal 29 al 22%, ghisa e acciaio dal 16 al 10%, per i cereali si è passati dal 20 al 6%. Complessivamente, tra febbraio e dicembre 2022, la quota della Russia nell'import UE è scesa dal 9,5% al 4,3%; per l'export è dimezzata, dal 4 al 2%.

C'è un altro fatto “curioso”: tra le sanzioni UE alla Russia c'è anche il divieto di investimenti; ma la questione è che le imprese occidentali, anche prima dell'introduzione delle sanzioni, erano restie a operare gli investimenti negli specifici settori di cui aveva bisogno la Russia: quasi sempre, per paura di sanzioni USA nei loro confronti. È così per i semiconduttori, o per unità a controllo numerico per macchine utensili, componenti per auto (ponti, cambi, motori, sistemi ABS ed EBS).

Per quanto riguarda le imprese europee, i forti aumenti di costo delle fonti energetiche - gas, petrolio, elettricità - rendono vari settori non competitivi: è il caso della produzione di fertilizzanti e prodotti chimici, vetro, cemento, metalli ferrosi e non ferrosi e persino ortaggi in serra. Così, finirà che le industrie europee ad alta intensità energetica e i colossi automobilistici migreranno in USA e Cina. Gli Stati Uniti le alletterà coi sussidi del Inflation Reduction Act, mentre la Cina le attirerà col colossale mercato interno. È così, ad esempio, per VW, che ha avvertito Berlino che potrebbe ritirare parte del potenziale produttivo nella UE: ha annullato la costruzione di una delle sei fabbriche di batterie, dando la priorità agli Stati Uniti. Anche la Tesla ha deciso di interrompere la costruzione di un impianto di batterie nella UE: Washington le ha offerto di più.

Nella lotta di concorrenza con USA (che dispongono, per se stessi, di gas a buon mercato e mucchi di soldi) e Cina, con le sue centinaia di milioni di consumatori, dice Ivan Lizan, gli europei hanno perso il loro principale vantaggio competitivo, sotto forma di energia russa a prezzi accessibili: gli «USA, dopo aver trascinato la UE in una guerra di sanzioni con la Russia e minato il North stream, hanno annullato l'attrattiva degli investimenti europei. Ma non è tutto. Gli americani sono famosi per i loro ragionamenti, basati sui precedenti e ciò che hanno fatto alle relazioni russo-europee, lo faranno a quelle sino-europee».

Nel 2013-2016 USA e UE stavano negoziando la creazione del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), una vasta area di libero scambio tra Nord America e Europa; le trattative fallirono perché Berlino e Parigi capirono che l'unico beneficiario di una zona di libero scambio sarebbe stata Washington e il business europeo ne sarebbe uscito schiacciato. Ora, conclude Lizan, «gli USA stanno cercando di ottenere la stessa cosa, ma con altri mezzi: hanno indebolito la UE con la guerra delle sanzioni e minando i gasdotti, e gradualmente "sgrassano" l'Europa con la loro legge anti-inflazione», che trasferisce l'industria dai vassalli della UE ai padroni yankee.

Degni di finire nel primo girone del settimo cerchio, tra omicidi, tiranni e predoni.

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