Idlib, le domande da porsi prima che sia troppo tardi


PICCOLE NOTE

Sarebbero cento i morti a seguito di un bombardamento con armi chimiche realizzato dalle forze siriane. Il web è invaso dal nuovo orrore che proviene dalla Siria, precisamente da Khan Shaykun, provincia di Idlib.


Il fantomatico Osservatorio siriano per i diritti umani ha subito dato in pasto al mondo il colpevole di tanto orrore: ovviamente Assad.

Un copione già visto. Già al tempo della strage di Goutha – agosto 2013 – il mondo occidentale aveva accusato Assad di avere usato armi chimiche contro i suoi nemici. Tesi che è ormai diventata mainstream, ma che non risponde alle tante obiezioni mosse da un’inchiesta realizzata dal premio pulitzer Seymour Hersc, che in base a informazioni ricevute dall’apparato militare americano ha scoperto che l’accusa contro il governo di Damasco non aveva alcun fondamento (vedi nota precedente).

Anzi, sempre secondo Hersc, furono i ribelli a compiere quella strage, per forzare gli americani a intervenire nel conflitto.

Peraltro anche le indagini sul terreno realizzate a suo tempo dall’Onu non hanno dato risultati tali da suffragare in maniera indiscutibile la colpevolezza di Assad riguardo l’eccidio. Ma tant’é.

Da tempo Idlib è diventata roccaforte delle forze anti-Assad e luogo di rilevanza strategica in questa guerra. L’ultima ridotta che le forze anti-Assad non possono assolutamente perdere, pena la loro disfatta definitiva.

Ma quanto accaduto oggi va al di là delle strategie applicate nel teatro di guerra. A rischio è la fragile tregua di cui si sono fatti garanti russi e turchi, che aveva portato un primo vero negoziato tra il governo di Damasco e le forze anti-Assad.

Già, perché se è stato Assad a bombardare salta tutto. Come detto a dare la notizia al mondo è stato il fantomatico Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha un organigramma alquanto semplice: è formato da una solo persona che vive a Londra. È lui a riportare i dati rilevati sul terreno dalle forze di opposizione. Si può intuire quindi l’attendibilità e la terzieta’ della fonte.

Il fatto che tanti esponenti politici occidentali abbiano sposato subito la tesi fornita da detto Osservatorio senza che sia stata esperita alcuna indagine sul terreno lascia del tutto basiti.

Val la pena ricordare che dopo la strage di Goutha, Russia e Stati Uniti avevano trovato un accordo per distruggere tutto l’arsenale chimico di Damasco. Cosa effettuata dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw). Assad non ha più armi del genere.

Ma ordigni chimici sono stati usati sicuramente dai ribelli, come riferito dal magistrato Carla del Ponte, alla quale l’Onu aveva dato l’incarico di indagare sulle violazione dei diritti umani in Siria.

Peraltro armi chimiche sono state rinvenute ad Aleppo dalle forze russe e siriane nelle zone orientali della città, quelle sotto il controllo dei cosiddetti ribelli. Come ricorda l’agenzia di stampa iraniana Fars, i russi avevano ufficialmente invitato la Opcw a prendere visione di tali rinvenimenti. Invito che l’Agenzia aveva inspiegabilmente declinato.

Possibile che anche a Idlib, come già ad Aleppo e altrove, i cosiddetti ribelli custodissero armi chimiche. Armi distrutte inavvertitamente dal raid dell’aviazione di Damasco. Come è possibile che i cosiddetti ribelli abbiano fatto esplodere tali armi di proposito, per cercare di attirare sulla Siria un intervento militare occidentale, l’unica chanche che hanno per ribaltare le sorti di una guerra ormai perduta.

Sicuramente Assad non ha nulla da guadagnare da una simile azione: sta riconquistando palmo a palmo il Paese, strappando città e villaggi dalle mani dei terroristi, mentre, in parallelo i suoi stanno trattando con quelle forze jihadiste che hanno accettato di partecipare ai negoziati.

Non solo, solo due giorni fa sia il Capo del Dipartimento di Stato che l’ambasciatrice all’Onu degli Stati Uniti avevano dichiarato all’unisono e non certo casualmente che la permanenza al potere di Assad non era più un problema insuperabile per gli Stati Uniti (vedi nota).

Un’apertura di credito per il presidente siriano che l’attacco chimico di oggi cancella. Non è da escludere, anzi è probabile, che sia stato proprio la chiusura di questa finestra di opportunità l’obiettivo di questa operazione militare-mediatica.

Restano poi le domande sulle immagini che si stanno riversando via web. Le persone colpite dall’agente chimico impiegato (già individuato, senza alcuna analisi, come gas sarin…), sono trattate dai medici senza alcuna precauzione del caso (vedi foto sopra).

Senza cioè guanti e mascherine, nonostante in altre immagini si veda perfettamente che hanno in dotazione tali indumenti protettivi. Un’anomalia che suscita qualche punto di domanda.

Ma al di là delle domande inevase e delle conclusioni affrettate, val la pena di soffermarsi su altro. Ieri il mondo ha pianto le vittime dell’attentato di San Pietroburgo. Un’anomala ondata di simpatia si è riversata dall’Occidente verso la Russia colpita al cuore dal Terrore.

La tragedia aveva anche riavvicinato Washington a Mosca, con una conversazione telefonica tra Trump e Putin nella quale si è ipotizzata una qualche forma di collaborazione contro il terrorismo.

Non solo: timidi segnali indicavano che sul teatro di guerra, le forze americane e quelle russe, e i loro rispettivi alleati curdi e siriani, avrebbero potuto coordinarsi per attaccare la roccaforte dell’Isis a Raqqa. Cooperazione, magari da effettuarsi sottotraccia, foriera di sviluppi virtuosi per la stabilizzazione siriana (vedi nota).

Oggi tutto questo, nonostante sia accaduto solo ieri, è un passato relegato all’oblio. Tra l’America e la Russia è tornato il gelo. E il mondo non piange più i morti di San Pietroburgo, ma quelli siriani, uccisi, come da narrazione ufficiale, dall’alleato di Putin. Questo l’effetto della strage, vera o artefatta che sia, di Idlib.

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