Draghi e la "violenza vigliacca"

03 Settembre 2021 11:00 Antonio Di Siena

Quanto alle dichiarazioni di Draghi serve essere un po’ più chiari.
Non mi interessa se quella dei no vax sia “violenza vigliacca” oppure no. Se è stata fomentata ad arte dalla propaganda martellante, dalle offese e da tutto quanto altro abbiamo letto sui giornali e sentito in tv da due anni a questa parte, oppure frutto del delirio dei soliti facinorosi esagitati. Non è questo il punto.
E non mi interessa nemmeno che parole potenzialmente esplosive come quelle di Draghi siano state pronunciate da un Presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale, figura votata - per ragioni che non serve nemmeno star qui a spiegare - all’equilibrio, alla rappresentanza degli interessi della totalità dei cittadini. Ivi compresi quelli che, a torto o a ragione, sono preoccupati, si sentono minacciati da una profilassi non ancora sufficientemente sperimentata. Sono sfumature, pura etichetta istituzionale, senso dello Stato e di responsabilità politica non più di moda di questi tempi.
Quello che trovo davvero vergognoso e inaccettabile è constatare da quale pulpito viene la predica.
Perché Draghi può essere anche la figura più credibile ed autorevole dell’intero panorama politico italiano (e io non lo credo affatto) ma non è certamente un cuor di leone. E di quella stessa violenza vigliacca che oggi denuncia con piglio da statista si è macchiato, lui per primo, quando ha scelto di stare dalla parte del più forte.
Ai deboli, invece, li ha obbligati a fare le file ai bancomat.
E se questo vi suona un parallelismo forzato si tenga presente che fu proprio l’allora presidente della BCE - dopo aver commissionato a colpi di spread un governo eletto democraticamente dal popolo italiano, quello Berlusconi - a decidere l’esclusione della Grecia dal programma di quantitative easing. Era il 2015 e quella misura, se tempestivamente adottata, avrebbe alleviato di molto le condizioni di un popolo già prostrato da cinque anni di crisi.
Chi oggi accusa gli altri di violenza vigliacca, perciò, può avere pure ragione. Ma non ha titolo morale per farlo. Perché è lo stesso uomo che ha preferito il vile ricatto alla solidarietà da lui stesso evocata, con l’unico scopo di costringere un intero paese ridotto alla fame ad accettare non soltanto l’ennesimo prestito usurario ma soprattutto le conseguenze. L’ennesima ondata di tagli e macelleria sociale che si è puntualmente e cinicamente abbattuta su una società già devastata dalle politiche di austerità. E chi legittimamente pensa che un atto politico-economico non possa essere paragonato alla violenza triviale sbaglia di grosso.
Anche condannare decine di migliaia di persone a perdere casa e lavoro riducendosi a dormire sotto un portico e mangiare alla mensa sociale con la famiglia e altrettante ad accettare salari da 250€ al mese è violenza. E pure una bella vigliaccata. Per non parlare della gente sprofondata nel tunnel della depressione e poi suicidata, dei bambini morti di sepsi neonatale, dei malati oncologici rimasti senza chemioterapia, delle donne finite a prostituirsi per pagarsi studi e bollette, delle famiglie costrette a gettare i propri cari nelle fosse comuni perché senza soldi per il funerale, dei giovani emigrati o di quelli ridotti a drogarsi intorno a piazza Omonia.
Piaccia o non piaccia ai benpensanti è violenza vigliacca anche questa. Per di più perpetrata su larghissima scala - e da dietro un’asettica scrivania - in danno di una popolazione inerme, quella greca, trasformata in cavia da laboratorio nell’esclusivo interesse delle banche e della grande finanza internazionale.
Ma evidentemente non tutte le violenze sono uguali. E nemmeno le vittime. Quelle che in un certo senso assecondano, non foss’altro per ignavia, la narrazione dominante sono degne di pieno e totale sostegno e commiserazione.
Chi vi si oppone, invece, può tranquillamente sprofondare nel baratro dell’umana miseria e poi nell’oblio della storia. Consentendo a chi si è politicamente macchiato di quei crimini - ben più odiosi di qualche ceffone - di rifarsi una verginità politica ergendosi a paladino del bene comune.
E no, non è così che funziona. E qualcuno dovrebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscerlo.

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