Perché attivare il Mes è l'antitesi del "più Europa"


di Paolo Desogus*

Domani avrà luogo un nuovo incontro del Consiglio europeo. La partita si giocherà soprattutto sugli eurobond. Il MES, è cosa fatta, piaccia o no. Ma al di là di questi due specifici temi credo che la posta in gioco non riguarderà solo i provvedimenti per fronteggiare la pesantissima crisi economica che sta colpendo l'Italia e molti altri paesi. Ma avrà a che fare con l'idea di Europa promossa dai singoli stati. A questo proposito le posizioni in campo sono paradossali o almeno possono apparire paradossali se viste dalla prospettiva dell'Italia, paese in cui si crede a Babbo natale e alla scie chimiche.

La via del MES che ha promosso la Germania e che è difesa nel nostro paese dagli europeisti è la via meno favorevole all'integrazione europea. È la via che promuove lo status quo: di fatto è la meno europeista. E dico questo al di là delle condizionalità più o meno severe che accompagnano questo strumento di prestito e di creazione tutelata del debito. Il MES infatti non impegna la comunità degli stati europei a integrare i bilanci nazionali. La sua funzione è coerente con l'impianto che immagina l'Europa come il campo di competizione tra stati nazionali nel quadro delle regole di Maastricht. Non solo dunque non unisce, ma anzi divide gli stati membri.


Come definire allora chi dice che "ci vuole più Europa" e chiede che l'Italia entri nel MES: disonesto? Imbecille? Fate voi. Il paradosso di questa fase è che le proposte più europeiste vengono in realtà dai settori più critici dell'UE, i quali attraverso semplici verità intendono smascherare l'impianto ideologico ordoliberista che schiaccia gli stati più deboli e avvantaggia quelli più ricchi, anzi quello più ricco: la Germania; agli altri - Francia inclusa - vanno le solo briciole e talvolta anche qualche osso, come oggi con l'Ungheria. Gli eurobond (chiesti dai 5 stelle) e la trasformazione della BCE in vera banca centrale, cioè in prestatore di ultima istanza, sono le uniche vere proposte in favore dell'integrazione, perché obbligano gli stati a mettere in comune parti del loro bilancio e a rivedere la fiscalità in senso europeo. Naturalmente la stampa italiana e gli imbecilli di varia natura le giudicano misure "populiste" e "sovraniste", senza naturalmente spiegare il perché: ripetono a pappagallo la voce di chi tiene le fila del gigante burocratico e ideologico chiamato UE, progettato per essere proprio il contrario di quello che loro auspicano.

Sono persino scuse quelle sull'impossibilità di emettere bond, dal momento che i paesi europei ben prima dell'Unione hanno emesso titoli con garanzie comuni. C'era più solidarietà e reale spirito europeista con la CEE che oggi con l'UE. Al di là delle idiozie che si leggono in giro, quello che oggi manca è la volontà politica generale di fare l'Europa. E del resto se neanche nelle attuale situazione si riesce a trovare un tavolo di intesa comune sull'integrazione, allora vuol dire che gli Stati uniti d'Europa solo sono una gigantesca bufala al pari della quale persino le scie chimiche e la teoria dei rettiliani appaiono più sensate. Vedremo giovedì.



*Professore all'Università Sorbona di Parigi

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