Aziende pubbliche dismesse e vendita riserve auree: il Piano Colao è eversivo


di Paolo Desogus

Diverse testate minori hanno ripreso la notizia della prima bozza del piano per la ripresa stilato da Vittorio Colao. I dettagli sono ancora vaghi, ma da quello che riporta Milano Finanza (un giornale molto ben informato) si tratta di un progetto di svendita colossole dell'industria pubblica italiana, attraverso cui finanziare l'industria privata.

Leonardo, Fincantieri, Ferrovie dello stato ed altre aziende verrebbero dismesse insieme alla vendita delle riserve auree italiane (tra le maggiori del mondo dopo quelle di Stati Uniti, Germania e FMI) per fare cassa e foraggiare l'industria privata.

Ora, ho molti dubbi che un piano del genere possa essere varato. Si tratta infatti di un progetto che possiamo definire, senza esagerare, eversivo, dato che sguarnirebbe il paese di protezioni economiche e industriali primarie, senza le quali persino la tenuta democratica è a rischio. È dunque probabile che Colao abbia deciso di far circolare una bozza sparando molto alto per valutare le prime reazioni e aggiustare il tiro. Seguirà nei prossimi giorni un disegno più moderato ma non meno devastante. Sulla base di quel documento inizierà poi una trattativa. Dalla richiesta iniziale di smantellamento dello stato pari a 100, si passerà dunque a 50 con l'obiettivo di ottenere 25, magari 30. Dunque da un progetto eversivo si passerà a un piano comunque molto pesante, che consentirà alle classi industriali italiane di trarre grossi vantaggi economici spartendosi qualche grande azienda pubblica.

Si tenga infatti conto che, a dispetto della propaganda antistatalista, le aziende di stato macinano da anni utili e rappresentano la punta più avanzate dell'industria italiana. In tempi di vacche magre i numeri di Leonardo e Fincantieri fanno gola a tanti.

Non è per questo un caso che, poco dopo la nomina di Colao, la famiglia Agnelli sia tornata alla ribalta intervenendo pesantemente sulla direzione di Repubblica. Per spartirsi il bottino la classe imprenditoriale italiana ha bisogno del forte sostegno dei media e soprattutto necessita di controllare quella parte dell'intellettualità italiana che legge ancora Repubblica credendo di sentirsi cosmopolita, colta e intelligente.

Permettetemi altre due considerazioni.

1) Vendere 30 dello stato è sempre meglio che darne via 100. Sebbene aleatorio quel 100 non è però privo di significato. La bozza fatta circolare in questi giorni costituisce infatti l'obiettivo finale delle nostre classi imprenditoriali. 30 è solo la prima tappa per giungere gradualmente a 100.

2) Non è chiaro quali siano stati i passaggi che hanno portato Colao alla testa della commissione per la ricostruzione. Perché Conte l'ha scelto? Perché ha dato a un uomo di cui sono note le parentele con l'universo ultraliberista la responsabilità di varare un piano per la ricostruzione? L'impressione è che dietro quella nomina ci sia una partita di giro per tenere in piedi il governo.

Resta in ogni caso un fatto. Con il Coronavirus si è ripetuta su vasta scala quella brutta scena che abbiamo visto dopo il terremoto dell'Aquila, quando due imprenditori al telefono, in una chiamata intercettata, ridevano a crepapelle di fronte alle immagini delle macerie, convinti che quella tragedia sarebbe stata per loro una grande occasione economica. Con il coronavirus quelli che ridono non sono più solo due imprenditori di una provincia cittadina, ma sono quelli che da anni tiranneggiano lo stato e che possono contare su un uomo loro vicino alla stanza dei bottoni, ovvero Colao.

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