Bakmut, Nord Stream e quelle conversazioni Lavrov-Blinken al G20


Sergej Lavrov ha dichiarato che la conversazione avuta con il suo omologo americano Anthony Blinken a margine del G-20 è stata “costruttiva”. Era noto che i due ministri degli Esteri si erano incontrati a sorpresa nel corso del summit di New Dehli, ma nulla era trapelato della loro conversazione, anzi i protagonisti dell’incontro hanno minimizzato l’accaduto e i media l’hanno riportato alla stregua di un evento casuale, come se fosse possibile che figure di tale importanza possano incrociarsi per caso in un corridoio.


Blinken e Lavrov

In realtà, ogni loro appuntamento e ogni minimo spostamento in occasioni tanto importanti è studiato e sorvegliato nei minimi particolari, da cui l’impossibilità di un incontro casuale.

Era la prima volta che i due ministri degli Esteri si incontravano dall’inizio della guerra e ciò conferisce al dialogo una portata ancora maggiore. Anche per questo era impossibile che i due avessero discusso del tempo o dei loro hobby; molto più realisticamente, avevamo scritto, avranno parlato delle crisi in atto, cioè la guerra ucraina e l’intesa sulle testate nucleari, l’accordo Start, che Putin di recente ha dichiarato sospeso.

Né è possibile che la conversazione si sia limitata a una reprimenda di Blinken contro la Russia perché ponesse fine all’invasione dell’Ucraina, come riferito da alcuni media mainstream (non c’era bisogno di vedersi per questo).

E, infatti, Lavrov ha rivelato oggi che hanno parlato di Ucraina e accordo Start, ovviamente senza aggiungere altro che l’aggettivo “costruttivo” (al Arabya), dal momento su certi temi la riservatezza è d’obbligo.

Un aggettivo, però, più che significativo, dal momento che rivela, appunto che qualcosa di importante è avvenuto in India. Anche il fatto che Lavrov abbia voluto rompere il silenzio sul punto ha una sua importanza, segnala cioè che il negoziato, qualunque esso sia, è ancora in corso.


Difendere Bakhmut alla morte

Per quanto riguarda il teatro di guerra, poco da rilevare, se non la decisione di Zelensky di difendere a oltranza Bakhmut, decisione che ha fatto passare come presa in accordo con i suoi generali, per evitare critiche se le cose dovessero andar male, come di fatto accadrà perché la città è ormai circondata (lo ha paventato anche il Segretario della Nato Jens Stoltenberg).

Anche perché a quanto ha riferito la Bild, Zelenky si è imposto sul Comandante delle forze ucraine, il generale Valerii Zaluzhnyi, che invece voleva ritirarsi. Tale decisione suicida ha due spiegazioni.

La prima è quella discendente dai desiderata dagli sponsor neocon del presidente ucraino, per i quali questa guerra per procura deve far più male possibile ai russi, anche se questo costerà pesantissimi sacrifici umani agli ucraini, i quali, essendo circondati, subiscono molte più perdite dei loro nemici.

Non è una nostra opinione, ma è la sintesi brutale fatta da Dagospia dell’intervista rilasciata da Dmitro Kuleba, che il sito italiano ha riportato con questo strillo: “Il ministro degli Esteri ucraino, Dmitro Kuleba, spiega perché l’esercito non si ritira dalla città del Donbass (in sostanza per far fuori più russi possibile)”.

La seconda spiegazione, che non nega ma si sovrappone alla prima, è quella che vede l’esercito ucraino intento a organizzare una controffensiva, per cui far concentrare le forze russe a Bakhmut avrebbe lo scopo di sguarnire il fronte russo altrove, probabilmente nella regione di Zaporozhye. Mossa a rischio: Zelensky potrebbe non sopravvivere politicamente alla caduta di Bakhmut e al fallimento della controffensiva successiva. Vedremo.

Intanto, c’è da segnalare una notizia che sarebbe esilarante se non riguardasse la tragedia della guerra, che ha fatto il giro del mondo in questi giorni (riportata da tutti i media, senza le esitazioni del caso).

La fonte è l’intelligence britannica, la quale ha informato il mondo che, sul fronte di Bakhmut, i mercenari russi della Wagner sono così disperati e a corto di munizioni che sono costretti ad andare all’assalto con le vanghe. Peccato che il giorno successivo abbiano annunciato, senza subire smentite, di aver preso il controllo della parte orientale della città. Difficile che l’abbiano fatto scavando…

Non si tratta, ovviamente, di magnificare le forze di Mosca, solo di sottolineare quanto sia fitta la disinformazione che aleggia attorno a questo conflitto. Non aiuta a uscirne.

Il sabotaggio al Nord Stream 2

Da ultimo, un cenno alla notizia che ha dominato i media gli ultimi giorni. Secondo l’intelligence Usa, e a ruota non meglio precisati inquirenti tedeschi, a sabotare il Nord Stream 2 sarebbe stato un commandos messo insieme da ucraini con incerta connessione con il governo di Kiev.

Altra notizia esilarante, un tentativo maldestro di coprire l’inchiesta di Seymour Hersc che ha rivelato le responsabilità Usa nel sabotaggio. Inutile perdere tempo a confutare tale depistaggio, solo segnaliamo un commento di Joe Lauria su Consortium news, il quale spiega che la deviazione delle responsabilità verso Kiev avrebbe uno scopo ulteriore.

Ad oggi, scrive Lauria, la mano di Kiev è stata riportata sotto il velo dell’incertezza e negata dagli interessati. Ma se la narrazione (falsa, ovviamente, ma la realtà conta nulla in queste cose), si spingesse a coinvolgere Zelensky, provocherebbe una rottura con il resto d’Europa, in particolare con la Germania, che vedrebbe la sua generosità verso l’Ucraina ripagata in maniera tanto distruttiva (bombardamento di un’infrastruttura strategica, rialzo dei prezzi dell’energia, carovita etc).

Lauria spiega che, alimentando una narrazione tanto negativa per Kiev, gli Usa si apprestano ad abbandonarla al suo destino. Scelta che sarebbe facilitata dalla caduta di Bakhmut. Probabile che Lauria esageri, ma val la pena riferire la sua tesi (ciò potrebbe fornire un’ulteriore spiegazione alla decisione di Zelensky di difendere la città alla morte – altrui).

Da ultimo segnaliamo una notizia sulla Siria, perché interseca le vicende ucraine: il Congresso Usa ha respinto una mozione per ritirare le truppe Usa che controllano un terzo del Paese (1). Evidentemente la sacralità dell’integrità territoriale, brandita contro Mosca sulla guerra ucraina, in America ha declinazioni alquanto bizzarre.

(1) A margine si può notare che tale voto segue quello in cui il Congresso ha chiesto a Biden di ripristinare tutte le sanzioni contro Damasco, in parte sollevate dal presidente per consentire di far pervenire gli aiuti alla popolazione dopo il terribile terremoto. A tale decisione si aggiunge il recente bombardamento contro l’aeroporto di Aleppo da parte dell’aviazione israeliana, che rende più difficoltoso far arrivare tali aiuti, dal momento che si tratta dell’area più colpita dal sisma. Quanto sta subendo il derelitto popolo siriano evoca una parola impronunciabile, che pure deve essere pronunciata: genocidio. In altra nota abbiamo segnalato alcuni canali per aiutare il popolo siriano, ribadiamo il suggerimento (cliccare qui).

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