di Giorgio Cremaschi
Questa settimana i lavoratori Embraco di Torino sono giustamente scesi in sciopero e hanno manifestato perché rischiano di finire tutti disoccupati, molti di loro lo sono già. Ai lavoratori e alla loro lotta va tutta la nostra solidarietà, non solo perché hanno tutte le ragioni, ma perché sono vittime di un accordo bidone, che non poteva che dare i frutti marci che ha dato.
Ricordate il ministro Carlo Calenda durissimo con i dirigenti della multinazionale che chiudeva la fabbrica? Poi alla vigilia del voto del 4 marzo 2018, guarda caso, venne l’accordo, con il quale la multinazionale si disfava della fabbrica con il beneplacito del governo e la complicità dei sindacati confederali.
Io ero ai cancelli dell’Embraco a Chieri il 2 marzo, sotto una nevicata che rendeva difficile ai lavoratori fermarsi per discutere. Tuttavia molti discussero con i compagni di Potere al Popolo e con me, alcuni fiduciosi nell’accordo annunciato, altri già scettici. Noi dicemmo chiaramente che quell’accordo era un bidone perché prometteva la reindustrializzazione, ma intanto chiudeva tutto, delocalizzava produzione ed impianti e lasciava tutti a casa. Poi nelle assemblee prevalse inevitabilmente il sospiro di sollievo per i licenziamenti sostituiti dalla cassa integrazione. Finché c’é vita c’è speranza e le organizzazioni sindacali giocarono su questo sentimento comprensibilissimo per far passare un accordo che era aria fritta. Infatti si susseguirono programmi produttivi favolistici, che spaziavano dalle energie alternative ai giocattoli. Il risultato è che la maggioranza del lavoratori sono fuori dalla fabbrica e quelli che sono stati assunti dalla nuova attività imprenditoriale non hanno fatto un solo giorno di lavoro. Il ministro di Di Maio, che aveva sostituito Calenda, ha continuato a sostenere l’accordo anche dopo che esso aveva cominciato a rivelarsi per quello che era. Il governo attuale per ora tace.
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