Andrea Zhok - La differenza tra cittadino e suddito nella scuola (e università) di oggi
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di Adrea Zhok*
Scuola e università si stanno trasformando - quando non si sono già trasformate - in grandi recinti di raduno bestiame, dove i giovani attendono a sedute intensive di addestramento moralistico. Un po’ sedute di autocoscienza new age, un po’ terapia famigliare, un po’ incontro degli alcolisti anonimi, un po’ sessioni di autocritica maoista, un po’ confessionali laici.
Tra i problemi che attanagliano i pedagoghi italici l’unico vissuto come perfettamente trascurabile è l’apprendimento di strumenti conoscitivi, di nozioni e capacità che rendano i discenti progressivamente autonomi.
Un tempo non troppo lontano era virtù centrale nell’insegnamento quella di tenere rigorosamente separate le capacità dello studente e la sua condotta. Uno studente poteva essere “bravo ma indisciplinato”, e se dimostrava quel tanto di coscienza da risparmiarsi sfide troppo sfacciate, evitando in corner il “sette in condotta”, poteva portare a termine con profitto i cicli di studio secondario e terziario concedendo pochissimo alla precettistica moraleggiante dall’alto (e se così non fosse stato, lo scrivente avrebbe probabilmente pagato duri pegni). Docenti mediocri – chiaramente riconosciuti come tali – erano quelli che “puntavano” gli studenti insubordinati facendo ricadere sulle valutazioni di merito la propria opinione sul carattere dello studente.
Oggi invece è considerato del tutto normale, ed è anzi parte delle stesse disposizioni ministeriali (si vedano le ultime raccomandazioni del ministro Valditara) che la condotta entri senza soluzione di continuità nei giudizi circa il profitto nelle varie materie.
Mentre il crollo di conoscenze e capacità di base è drammatico e costante, tutte le energie e gli ingegni dei professionisti della pedagogia ministeriale (invero non solo in Italia) sono rivolti a impartire lezioncine omogeneizzate su come si debba essere buoni sudditi green, accoglienti, vaccinati, dirittumanisti, ecosostenibili, antirazzisti, antitotalitari, inclusivi, vegani, europeisti (con i corollari di moda di volta in volta: antirussi, filoamericani, insettivori, fluidi, ecc.).
Fondi pubblici, borse di studio, finanziamenti sono ripartiti con queste agende davanti agli occhi.
E naturalmente il problema non sta mai nei contenuti proposti – che a volte potrebbero essere argomentati in forme intelligenti – ma nel metodo.
Se i vari catechismi religiosi sono spesso riusciti a rendere persino l’idea di Dio una filastrocca stantia, figuriamoci cosa accade per questi catechismi laici che devono garantire l’avvenuto apprendimento di idee che già in partenza avevano il respiro di spot pubblicitari. Volendo garantirsi a monte che soltanto una ben definita ortodossia verrà comunicata, tutto ciò si riduce a prediche didascaliche, alla consegna di pacchetti di raccomandazioni benpensanti, cui è bene genuflettersi se non si vuole essere vittima del bullismo dei buoni.
Questa trasformazione pedagogica rappresenta il passaggio tra la formazione di un cittadino a quella di un suddito.
Il cittadino dev’essere formato all’autonomia, alla capacità di maneggiare strumenti culturali e cognitivi che lo rendano capace di giudizio indipendente.
Il suddito dev’essere formato al riconoscimento delle fonti di autorità e dei confini di ciò che non si può discutere ma solo recepire.
Al cittadino si insegnano contenuti, capacità, conoscenze, che starà a lui utilizzare al meglio.
Al suddito si insegnano storielle edificanti, condanne preconfezionate, stigmatizzazioni sprezzanti.
Al cittadino si danno in mano strumenti per crescere da solo (conoscenze), al suddito si spiega come sorridere al capo senza metterlo in imbarazzo (soft skills).
*Post Facebook del 26 settembre 2023